domenica 21 giugno 2015

Italicum sotto attacco dopo le elezioni regionali

A poche ore dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale si è scatenato il prevedibile tiro al bersaglio contro l’Italicum, accusato di spirito anti-democratico e di essere sostanzialmente l’anticamera della prossima dittatura.  Dopo l’esito delle elezioni regionali di fine maggio sono riprese le ostilità contro la nuova legge elettorale, con la strana convergenza delle due ali estreme della composita maggioranza di governo: da un lato la sinistra PD e, dall’altro, i centristi di NCD, accomunati dall’idiosincrasia per le novità e i tratti più innovativi del neonato sistema elettorale. La nuova Santa Alleanza trasversale anti-Italicum si propone di modificare la legge, a colpi di referendum o dopo un lifting parlamentare, a prescindere dalla verifica dei suoi effetti sugli assetti politico-istituzionali.

Il primo ad aprire le ostilità è stato l’ex leader della minoranza PD Pippo Civati, che subito dopo le dimissioni dal PD ha annunciato il proposito di raccogliere le firme per due referendum abrogativi dei punti qualificanti della neonata legge elettorale. Gli articoli da cassare secondo Civati sono quelli relativi a  capilista bloccati, pluricandidature e doppio doppio turno per il premio di maggioranza. Tutto ciò prima ancora che sia stata applicata per la prima volta la nuova elegge e dopo che il sistema elettore a doppio turno dei comuni ha dimostrato di funzionare garantendo chiarezza di esito elettorale, governabilità ed alternanza amministrativa. 

La crociata anti-Italicum sembrerebbe condannata in partenza all'insignificanza politica e al probabile fallimento del referendum per un quorum da tutti giudicato irraggiungibile, visto il livello di astensionismo alle elezioni Europee del 2014, trend confermato in peggio alle regionali. Difficile immaginare una consistente affluenza al voto per un referendum pro-preferenze, dopo che negli anni novanta con una consultazione referendaria di opposto tenore erano state cancellate a furor di popolo, perché ritenute espressione della peggiore politica clientelare, affaristica e inquinata dalle logiche spartitorie della partitocrazia.

Il giudizio su una nuova legge si può dare solo verificando quali sono i suoi effetti empirici, possibilmente comparati con quelli della precedente versione. Un possibile raffronto viene dalle elezioni regionali; i contestatori a priori dell'Italicum non dicono nulla sul poco edificante spettacolo della miriade di liste regionali coalizzate, in cui hanno trovano posto i famosi impresentabili in virtù di un sistema elettorale che premia le aggregazioni ed attribuisce un premio di maggioranza illimitato, analogo a quello del Porcellum bocciato dalla sentenza della Consulta. Quelli regionali si sono rivelati sistemi elettorali decisamente peggiori dell'Italicum, che perlomeno ha messo in soffitta il premio alle coalizioni e introdotto la soglia minima per il premio di stesso.

La querelle degli impresentabili ha dimostrato che il brodo di coltura della degenerazione politica è il combinato disposto tra preferenze e premio alla coalizione, composta da numero a piacere di liste pur di conseguire quel vantaggio di consensi indispensabile per agguantare il premio di maggioranza. Esiste infatti una sinergia “naturale” tra le due formule: da un lato la notorietà del capolista e dei notabili  locali convoglia sulla lista voti “personalistici”, che non sarebbero arrivati per altre motivazioni, attratti dalle preferenze mentre dall’altro il capolista forte del potenziale consenso ad personam per il radicamento sociale dei suoi esponenti può trattare con il candidato governatore da posizioni di forza facendo leva sul suo piccolo ma indispensabile pacchetto di consensi. 

Fortunatamente l'Italicum con la presenza dei capolisti bloccati e soprattutto grazie al premio alla lista e non alla coalizione ha introdotto un disincentivo a questo modello di gestione strategica del consenso politico-elettorale, che non uguali nel resto del continente. Non a caso, all’indomani delle elezioni regionali, i centristi di NCD per bocca del portavoce Quagliariello hanno avanzato la proposta di rivedere l'Italicum introducendo la possibilità di apparentamento al secondo turno. Con questa modifica il piccolo partito potrebbe negoziare il proprio sostegno ad uno contendenti al II° turno facendo pesare il proprio contributo determinante di voti, per ottenere in cambio posti di potere e altri vantaggi, a mo’ di novello Ghino di Tacco. 

Dopo la sentenza della Consulta sul Porcellum e il varo dell'Italicum sembra arrivato il momento di rivedere anche le leggi elettorali regionali, per armonizzare i vari sistemi elettorali vigenti a livello nazionale e locale. Che senso ha un sistema a doppio turno con soglia per il premio di maggioranza, come quello toscano, accanto ad altri senza soglia e con premio praticamente illimitato come quello vigente nella vicina Liguria, dove il neogovernatore Toti governerà la regione con poco più di un 1/3 dei voti e una maggioranza risicatissima? La revisione del sistema di voto toscano rappresenta certamente un passo in avanti poiché, introducendo la soglia minima del 40% per il premio di maggioranza, ha di fatto aperto la strada all’Italicum. Tuttavia a livello regionale sarebbe più appropriata una soglia per il premio al 45%, cioè una via di mezzo tra il 40% della legge nazionale e il 50% delle comunali. 

Ma soprattutto urge l’eliminazione del premio alla coalizione, vero cavallo di Troia per impresentabili, clientelismo, campanilismo e, in associazione con le preferenze, strumento di personalizzazione della politica e rischio di voto di scambio. Non a caso in Campania alcuni impresentabili sono stati eletti sull'onda delle preferenze. Al contrario l’esito delle recenti elezioni comunali ha dimostrato per l’ennesima volta quanto il doppio turno possa scompaginare equilibri consolidati, far emergere nuovi protagonismi, garantire il ricambio amministrativo e la chiarezza dell’esito elettorale. I casi di Venezia ed Arezzo sono emblematici della dinamicità della seconda chance elettorale per rimettere in moto la dialettica elettorale ed offrire ai cittadini concrete occasioni di cambiamento.

lunedì 8 giugno 2015

Lo strano caso delle elezioni regionali in Liguria....



Il dibattito sui risultati delle regionali è stato monopolizzato dalla perdita di 2 milioni e passa di voti del PD rispetto alle Europee, che ha tenuto banco nei commenti dei primi giorni [1]; questo dato è stato però ridimensionato mano a mano che sono entrati nel computo dei consensi persi due variabili del contesto elettorale trascurate da molti commentatori, in modo un po’ superficiale.

1-Prima di tutto l’astensione, che ha colpito in modo abbastanza trasversale tutti i partiti e che riduce di molto il numero di voti persi, specie dal PD, nel computo a livello nazionale, ma anche nelle varie regioni (l’istituto Cattaneo calcola che in Liguria la perdita dei consensi, rispetto alle Europee del 2014, si riduca dal 47% al 12%) [2,3].

2-Sia a livello locale che nazionale hanno avuto un consistente impatto le liste coalizzate, specie quelle del candidato presidente presenti un po’ in tutte le regioni, che evidentemente possono essere ricomprese tra i voti da attribuire al partito del candidato premier (nel caso del PD) o dello schieramento complessivo di centrodestra o centrosinistra. Il PD si manterrebbe quindi a debita distanza dalle percentuali della Ditta bersaniana del 2013: il prof. Vassallo calcola che il PD sia passato dal 40.8% delle Europee al 37% circa nelle 7 regioni, per una riduzione del 10% circa dei suoi consensi, che confermerebbe il dato dell’istituto Cattaneo. [4]

3-Per il combinato disposto delle due precedenti variabili si ridimensiona assai la “batosta” subita dal PD e così pure il successo del M5S, mentre a destra brilla ancor di più l’exploit della Lega, l’unico partito che guadagna in percentuale (con incrementi superiori anche al 100% come in Toscana) e in voti assoluti su tutte le precedenti elezioni, in gran parte a prezzo del tracollo di FI.[5]

4-Questa conclusione farà certamente piacere ai sostenitori del premier, che tuttavia pagano dazio a livello del risultato Ligure, interpretato in modo meccanico come effetto del “tradimento” della "sinistra masochista" del civatiano Pastorino. In realtà, in base all’analisi dei flussi, la lista Pastorino avrebbe attirato dalla riserva elettorale del PD solo una metà dei consensi rastrellati in Liguria, mentre l’altra metà del 9.4% incassato sarebbe riconducibile allo zoccolo duro della sinistra radicale, come quella confluita alle europee del 2014 nella lista Tsipras. In sostanza quindi anche senza la lista Pastorino la Paita avrebbe avuto poche possibilità di annullare la differenza di consensi che l’hanno separata da Toti, con buona pace del giglio magico ligure, da un lato, e delle ambizioni della lista Pastorino, dall’altro [6,7].

5-Qualche altra considerazioni sul voto Ligure. Sul flop del gruppo dirigente del PD Ligure hanno pesato in ordine di importanza:
  • i 10 anni del sistema di potere Burlando, incapace di risolvere il problema prioritario della regione, ovvero le inondazioni dovute all’annoso dissesto idrogeologico: non a caso il PD incassa a Genova il peggiore risultato di tutta la regione e un surplus di defezione astensionistica di protesta su scala regionale, in un’area storicamente oscillante tra destra e sinistra;
  • la non esaltante vicenda delle primarie, che hanno gettato un'ombra sulla candidata vincente e che dovevano essere gestite in modo più accorto e condiviso se non annullate in un sussulto di etica pubblica.
Giustamente Paolo Mieli in TV ha fatto notare a Cofferati che con l’intento di contrastare il presunto patto del Nazareno al pesto - ovvero la paventata combine tra esponenti di centrodestra e PD in appoggio alla Paita - l’ex sindacalista ha finito per danneggiare solo la candidata burlandiana, pur senza essere determinante in negativo per la vittoria di Toti, grazie al sostegno dato alla lista Pastorino dopo l’uscita dal partito a seguito delle primarie. D’altra parte l’ipotesi di un super Nazareno all’ombra della Lanterna, tra buraldiani e scajoliani per spartirsi il governo regionale, se mai fosse stata architettata è stata smentita dai fatti, visto che non vi è stato il paventato soccorso elettorale di centrodestra alla Paita, ma bensì il pieno di voti per Toti governatore. Così i civatiani pur non essendo stati “quantitativamente” determinati per la vittoria del centrodestra, come vorrebbe far credere la narrazione renziana del “tradimento”, hanno incassato comunque l’effetto “qualitativo” di indebolire la candidata del PD, per un’ “eterogenesi dei fini” forse attesa.

E se invece il soccorso "nero" delle primarie alla Paita fosse stata una trappola ben congegnata per estremizzare lo scontro nel PD, fino alla rottura intestina e alla presentazione di una lista di ispirazione radicale, per indebolire il PD a tutto vantaggio del candidato di centrodestra? 

La strategia elettorale appropriata, per arginare le defezioni degli elettori PD scontenti e tentare la riconferma del centrosinistra, era esattamente opposta a quella attuata dal gruppo dirigente Ligure, ovvero:
  • rompere con la precedente gestione, candidando un personaggio della società civile, tipo un Doria o un Pisapia, invece che un esponente organico come la Paita, in piena continuità con l'amministrazione precedente e il gruppo di potere egemone;
  • su questo nome compattare tutte le anime/tribù del partito e magari andare oltre il PD per recuperare la fiducia dell’elettorato tradizionalmente vicino al centrosinistra che invece, al dunque, ha disertato la cabina elettorale per protesta.
Per attuare questa strategia era però necessario un passo indietro del vecchio gruppo dirigente e l’avio di una pacificazione tra le varie anime del PD. Operazione evidentemente troppo rischiosa per uomini ininterrottamente al potere da decenni, che pensavano di recuperare un’immagine di rinnovamento proponendo la giovane candidata, in barba alla rottamazione. In fin dei conti bastava ispirarsi all'operazione Veneziana, intelligentemente messa in campo per le sue buone probabilità di successo.

6-Il buffo è che proprio nel mentre si consumava la faida ligure, nell’altra repubblica marinara chiamata al voto al civatiano Casson capitava di vincere le primarie e di incassare quasi il 40% al primo turno delle comunali lagunari, proprio grazie all'appoggio dello sconfitto renziano alle primarie e al contenimento unitario dei danni della scandalo Mose. Perché dunque a Venezia i due contendenti vanno d'amore e d'accordo e lo sconfitto sostiene il candidato ufficiale (come peraltro aveva fatto lealmente il Renzi perdente alle primarie vinte da Bersani) mentre a Genova il Cofferati sconfitto se ne va dal PD, portandosi via la palla? Nelle due repubbliche marinare sono andate in scena due varianti dello stesso copione, ma con parti in commedia invertite, regie ed esiti opposti: le baruffe sotto la lanterna hanno incassato un clamoroso fiasco per platee mezze vuote, mentre il copione veneziano ha avuto un buon successo di pubblico alla prima e, forse, ne avrà uno ancor maggiore alla replica di domenica 14 giugno.

CONCLUSIONI. Insomma, per produrre un disastro politico come quello ligure, all’insegna del tanto peggio tanto meglio invece che del meno peggio, bisognava che entrambi i protagonisti si mettessero di buzzo buono e con grande impegno, l’un contro l’altro armati di tutto punto. Pare proprio che vi siano sono riusciti, e alla grande! Come definire, se non follia a due con spunti paranoidi, la faida ligure tra tribù renziane e anti-renziane, in cui ognuno dei due contendenti ha un disperato bisogno dell'altro per realizzare l'ennesima debacle autodistruttiva della sinistra nel suo complesso?

1.       http://www.cattaneo.org/images/comunicati_stampa/Analisi_Istituto_Cattaneo_-_Regionali_2015_-_Chi_ha_vinto_chi_ha_perso_e_dove_1_giugno_2015.pdf