venerdì 25 novembre 2016

Riforma del bicameralismo tra intenzioni e risultati

C'è una motivazione più profonda e radicale, rispetto alla riduzione dei tempi di approvazione delle leggi, per promuovere il superamento del bicameralismo paritario, nel segno della distinzione delle funzioni tra i due rami del potere legislativo; si tratta di motivazioni qualitative più che quantitative, di natura culturale, etica ed "epistemica" come suggerisce il pensiero di due grandi del novecento, Max Weber e Karl Popper. Il bicameralismo paritario nasce dal clima sociale e politico post-bellico, intriso di sospetti e di diffidenze reciproche tra le forze antifasciste uscite vincitrici dalla resistenza, ma con opposte visioni, tendenze politico-ideologiche e programmatiche: da un lato quel fronte popolare social-comunista che dopo la costituente avrebbe perso alle prime elezioni legilsative a vantaggio dello schieramento democratico-cristiano centrista.

Pur essendo di ispirazione ideologica e culturale contrastanti i due schieramenti condividevano l'idea che i rami del parlamento erano in grado di produrre, con il rimpallo dell'esame e il suo progressivo affinamento, la migliore legge a priori in relazione agli obiettivi pratici e alle opzioni ideali del legislatore. Inoltre la presenza di due assemblee parlamentari con diversa composizione anagrafica e rappresentava poteva costituire, specie per il fronte democristiano, una garanzia di vigilanza contro le paventate tendenze anti-democratiche dell'alleanza social-comunista, nel senso del bilanciamento, del controllo, dei pesi e contrappesi della tradizione anglosassone.

Come ha osservato lo storico Massimo L. Salvadori su La Repubblica del 25 novembre 2016 il testo costituzionale "fu il frutto del comune interesse a trovare in un sistema a basso tasso di governabilità del paese una reciproca assicurazione dato il vivo timore che i campi opposti nutrivano l'uno nei confronti dell'altro", individuando nel Senato lo "strumento di quella reciproca assicurazione e architrave per rallentare il processo legislativo mediante il ping-pong tra le due camere".

Il bicameralismo paritario post-bellico è figlio del clima culturale dell'epoca, pervaso da quella che il sociologo Max Weber ha definito l'etica delle intenzioni, a cui facevano riferimento, seppur da visioni antitetiche e contrapposte, i progetti socio-politici ed economici del social-comunismo e quelli della tradizione popolare liberal-democratica. Max Weber contrappone all'etica delle intenzioni quella dei risultati e della responsabilità, che si fonda sul controllo dell'effettivo conseguimento degli obiettivi perseguiti.

Il sociologo tedesco riteneva l'etica delle buone intenzioni a priori (spesso foriera di disastri, come recita l'aforisma marxiano: "la strada della perdizione è lastricata di buone intenzioni") meno efficace e "razionale" dell'etica delle responsabilità (laica e liberal-democratica) che persegue la verifica degli esiti pratici, cioè a posteriori e sul campo, in rapporto ai cambiamenti socioeconomici, culturali e tecno-scientifici.

All'impostazione etica weberiana si coniuga il pensiero sociale e politico di Karl Popper, che sottolinea il rischio potenziale di ogni riforma, ovvero di generare oltre a quelli previsti anche effetti inattesi, collaterali o addirittura contro-intuitivi. Poichè, secondo una ben nota formula, la società è il luogo in cui si manifestano gli effetti inintenzionali dell'azione umana intenzionale e deliberata. Gli uomini scontano i limiti e l'incompletezza della conoscenza delle condizioni date, a livello sociale, culturale, economico e del loro imprevedibile intreccio evolutivo, anche in presenza delle migliori intenzioni e talvolta al di là della stessa percezione e consapevolezza individuale o collettiva. Le intenzioni astratte e decontestualizzate non tengono conto dell'impatto e degli effetti "ecologici" che la legge sconta nella fase di applicazione pratica.

Quindi è meno razionale il proposito di elaborare, con grande dispendio di tempo nella convinzione di un improbabile precisione, una legge perfetta a priori, rispetto alla verifica empirica dei suoi effetti pratici a posteriori e della sua correzione se necessaria, nel momento in cui la riforma non abbia raggiunto gli obiettivi desiderati o fatto emergere effetti collaterali o imprevisti.  Due esempi emblematici di effetti inattesi sono quelli scaturiti dalle norme sui voucher per i lavori occasionali e l'imponente contenzioso legale tra stato e regioni sulla legislazione concorrente, introdotta con la riforma federalista del 2001. Da qui la preferenza culturale ed "epistemica" per il monocameralismo, fallibilista e a posteriori, cartina di tornasole della responsabilità politica e legislativa, al di la delle buone intenzioni programmatiche.

La  stessa Riforma Costituzionale andrà sottoposta a verifica empirica a distanza per via dell'intrinseca imprevedibilità dell'evoluzione socio-economica e per il carattere unico e irripetibile dei fenomeni storico-sociali. Non si tratta quindi di una riduttiva questione quantitativa, riguardo ai tempi di approvazione delle leggi, ma della qualità dei presupposti epistemici del monocameralismo, in quanto rappresenta un salto di qualità del processo legislativo - in senso fallibilista ed empirico, correlato all'etica della responsabilità e dei risultati - rispetto all'etica delle intenzioni orfana di verifica empirica.

domenica 13 novembre 2016

L'onda lunga della rabbia, il Referendum e la rottamazione dell'Italicum

Sulla diagnosi sembrano ormai d'accordo tutti i clinici chiamati al capezzale della Democrazia: l'onda impetuosa del rancore, della rabbia per la crisi e dell'odio per caste, élite ed establishment politici è il motore delle scelte radicali, populiste, xenofobe, di chiusura e di rottura un po' in tutto il mondo, che Trump ha saputo interpretare ed intercettare al meglio con la retorica dell'America di nuovo grande. La carta stampata e i sondaggisti invece non se ne sono minimamente accorti, perchè ormai ridotti enclave elitaria autoreferenziale separata dal mondo reale e dalla società, ovvero dalla rete principale veicolo degli umori di pancia e delle tendenze che covano nella società. Una drammatica scissione tra realtà e sua rappresentazione testimoniata emblematicamente dal gap tra sondaggi e risultato finale, tra mobilitazione dei media anti-Trump e il suo trionfo nelle urne.

Il risultato del referendum sarà la cartina di tornasole per capire i possibili esiti dell'iniziativa di revisione dell'italicum in funzione anti M5S portata avanti dalla minoranza PD, dagli esiti incerti e potenzialmente controproducenti proprio per i suoi sostenitori. Sui principi non si può giocare sporco e cambiare le regole solo per interesse diparte e a proprio uso e consumo, che invece è tradizione italica quando si tratta di regole elettorali: la gente capisce benissimo che stai barando, che sei scorretto e quindi ti punisce con maggior diletto. Ne è già stato fatto uno di "stai sereno" ma era tutto sommato interno e ad uso e consumo del PD; una mossa sleale come la revisione dell'italicum per il proprio esclusivo tornaconto elettorale, suggellato da una coalizione con Alfano e Verdini, per fare lo sgambetto agli altri, sarebbe esiziale. Lo so, è da ingenui pensare che lealtà in politica conti perlomeno quanto la spregiudicatezza ma, come soleva dire l'On. Andreotti, ogni tanto le volpi troppo furbe finiscono nel carniere.  Meglio un chiaro e leale confronto a due al ballottaggio che tentare il colpo basso sul turno unico, peraltro con il rischio di un boomerang elettorale a favore dei pentastellati.

Qualcuno pensa davvero, come fa Ezio Mauro su Repubblica, che una riconciliazione tra Renzi e Bersani sancita dalla revisione dell'Italicum possa sul serio arginare l'onda lunga del rancore e della paura che dopo le coste atlantiche si abbatterà sul Referendum? Davvero l'elettorato di pancia anti-renziano, fuori e soprattutto dentro il PD, è disposto a tornare nell'alveo della ragionevolezza dopo la sigla della pace tra Cuperlo e Renzi, suggellata dal documento di rottamazione del ballottaggio in funzione anti-pentastellati? Ne sembrano fermamente convinti all'unisono i due ex direttori e il patron di Repubblica, come se alla gente che NON legge il loro giornale stesse a cuore la ristrutturazione dell'Italicum, mentre a quei pochi a cui interessa la sorte della legge  elettorale con il NO incasseranno un triplice combinato disposto: bocciare la Riforma costituzionale, mandare a gambe all'aria l'Italicum e cacciare l'odiato "bullo fiorentino". E una cordiale stretta di mano tra Renzi e Bersani scongiurerà questo esito esiziale? Suvvia questa idea è la prova provata della distanza abissale tra casta giornalistico-industriale "illuminata" e una realtà ribollente di rancori pronti a convergere sul primo parafulmine disponibile.

Se vince il NO, come ormai temono anche i pasdaran Renziani, è chiaro che si deve ricominciare da capo su tutto il fronte elettorale, in quanto servirà anche una nuova legge per il senato, per cui i giochi sono aperti ad ogni soluzione, a meno che si torni a votare con due sistemi di opposta concezione come l'Italicum alla Camera e Consultellum al Senato. Ipotesi a dir poco stravagante e comunque foriero di larghe intese almeno per un altro lustro, in attesa della prossima riforma elettoral-Costituzionale.

Se invece dovesse vincere il SI e si procedesse alla revisione, opportunistica ed auto-referenziale, dell'Italicum pro domo PD e anti-M5S il rischio sarebbe quello di fornire un assist propagandistico elettorale ai S5S di tali proporzioni da farli prevalere comunque al primo turno, altro che argine! Con il vento populista anti-casta e anti-élite che tira si sono persi mesi e mesi in diatribe dilanianti interne al PD sull'Italicum, invece di portare a termine l'iter di leggi di valore simbolico contro le degenerazioni della casta e della corruzione, quelle si utili per recuperare consensi.

mercoledì 2 novembre 2016

Quattro semplici proposte per cambiare l'Italicum

Per migliorare l’Italicum basterebbero alcune semplici modifiche, per risolvere in maniera definitiva il problema dell’esorbitante premio di maggioranza e della scarsa percentuale degli eletti con le preferenze. Ecco quindi 4 cambiamenti, facilmente attuabili per porre rimedio ai limiti dell'Italicum, più volte denunciati dai suoi detrattori:

1. innalzare la soglia del premio di maggioranza al primo turno al 42-45%, in modo da ridurre l’attuale premio (peraltro anche con il proporzionale secco il "vincitore" poteva godere di un "bonus" di seggi dell'ordine del 3-5%);
2. dimezzare il numero di collegi dagli attuali 100 a soli 50, raddoppiando quindi il numero dei seggi in palio, da 6 a 10-12; si dimezzerebbe automaticamente anche il numero di capolisti bloccati, che passerebbero dagli attuali 300 circa a 135-160, ovvero 1/4 circa dei 630 seggi complessivi della camera, venendo quindi incontro alla gran voglia di preferenze;
3. ridurre drasticamente il numero delle pluricandidature, la parte più critica dell'Italicum, portandole dalle 10 attuali a 2 o 3 e con la clausola della scelta del collegio in cui il candidato ha ottenuto il maggior numero di voti;
4. infine per venire incontro ai desiderata dei partiti minori si potrebbe proporre il premio di maggioranza alla coalizione, invece che al partito, o la possibilità di apparentamento al ballottaggio, come prevede l'elezione dei sindaci.

Poche ma sostanziali modifiche che dovrebbero accontentare i critici più accaniti, naturalmente salvaguardando nel contempo il valore aggiunto dell'Italicum, ovvero il doppio turno, garanzia del rispetto della volontà popolare e della scelta dei cittadini.