martedì 21 gennaio 2014

Accordo Renzi-Cavaliere, più luci che ombre. Il doppio turno evita il neo-porcellum!

Il colpo di scena è arrivato all’ora di pranzo, rilanciato dai siti internet dei quotidiani. Non è dato sapere se la clausola di salvataggio del doppio turno, nel caso in cui nessun contendente superi al primo la “ragionevole” soglia del 35% dei voti, sia stata decisa alla vigilia della direzione del PD o se era già compresa nella bozza di accordo definita da Renzi e Berlusconi nell’ormai storico incontro al Nazareno. 

Ad ogni buon conto il coup de theatre è stato efficace ed ha spiazzato la minoranza interna del PD, rassegnatasi ad una scialba astensione nel voto finale in direzione nazionale del partito. Di fatto, seppur con qualche timido mugugno minoritario, il PD approva la linea del segretario. Non mancano alcune distonie rispetto alla sentenza della Consulta sul Porcellum, in primis una soglia troppo bassa e un premio troppo generoso. Tuttavia la riforma renziana supera la sua prima prova politica e rafforza la leadership del sindaco di Firenze, a cui è riuscita l’impresa che mai nessuno, negli ultimi 20 anni, aveva tentato di avviare e men che meno portare a termine in poche settimane, a partire dal fallimento della bicamerale. Chapeau!

La posta in gioco fin dall’inizio delle trattative era duplice, come i fendenti menati dalla Consulta al povero suino: l’abnorme premio di maggioranza, per giunta privo di una “ragionevole” soglia minima, e le liste bloccate che avevano sequestrato ai cittadini la facoltà di designare gli eletti. Per molti questi due opzioni erano parimenti rilevanti anche se non può sfuggire, ad un esame più approfondito, l’incommensurabilità tra i due nodi problematici. Le liste bloccate sono uno mezzo per definire a priori la composizione della scuderia e tenere ben salde le redini dei gruppi parlamentari, composti da docili nominati. Le preferenze sono certamente un’espressione di libertà di scelta degli elettori, ma con una serie imbarazzante di effetti perversi, documentati dalla storia della Repubblica degli ultimi 30 anni, dal campanilismo clientelare alla compravendita e scambio di voti, con la mediazione della criminalità organizzata.

Niente a che vedere, in quanto a rilevanza pratica e respiro riformista, con la seconda scheda/opzione elettorale consegnata nelle mani dei cittadini. Il ballottaggio è  lo strumento cardine per designare in modo inequivocabile il vincitore e lo sconfitto, sottraendo alle segreterie di partito il potere di trattativa, veto, scambio, interdizione ed inciucio, che ha inibito per decenni ogni coesione governativa e i gli sforzi per un autentico riformismo. Per di più i numeri dell'offerta elettorale tri-polare, dopo le elezioni del 2013, non lasciano più spazio a meccanismi elettorali inconcludenti, forieri di esiti incerti e di inevitabili governi di larghe intese ad libitum, come nel caso del proporzionale rinato dalle spoglie del Porcellum, amputato dalla Consulta. La designazione dello schieramento politico idoneo a reggere le sorti della Repubblica non può che passare per un processo selettivo ed adattativo fondato sulla doppia scelta degli elettori, incomparabilmente più rilevante rispetto alla singola designazione ad personam della preferenza. E’ il doppio turno a fare la differenza finale tra una legge buona ed una gattopardesca, da qualsiasi modello si parta.

Con il doppio turno viene mano la necessità di alleanze elettorali eterogenee e condizionate dai piccoli partiti, esclusi di fatto dallo sbarramento del 5%, tali da consentire ad una coalizione di raggiungere la soglia minima, superare gli avversari ed incassare il pingue premio di maggioranza. Tuttavia una soglia ancor più elevata avrebbe tolto ai partiti di medie dimensioni l’incentivo ad offrire i propri voti al miglior offerente, visto che a fare la differenza rispetto alla coalizione antagonista sarebbero stati i consensi degli elettori al ballottaggio.  

Di certo il Cavaliere era maldisposto a rinunciare ai suoi obiettivi ed in effetti la tattica negoziale delle ultime settimane mirava ad evitare concessioni su entrambi i fronti, incassando sia le liste bloccate che il singolo turno di voto. Ma se proprio si doveva cedere e concedere qualche cosa al do ut des di ogni trattativa che si rispetti, certamente avrebbe tenuto duro sul turno unico e fatto concessioni sulle preferenze. Invece Renzi è riuscito a fargli digerire il rospo del ballottaggio, seppure come clausola di salvaguardia nel caso in cui il vincitore del primo turno non superi la soglia del 35%. Una metamorfosi che cambia i connotati e l’impianto del modello spagnolo, tanto caro al Cavaliere, fino a poche ore dalla svolta dato per acquisito, con il rischio di inevitabili ripercussioni critiche all’interno del PD e nella pubblica opinione.

Invece alla minoranza cuperliana non è rimasta che la protesta di facciata per la conferma delle liste bloccate e la rinuncia alla reintroduzione delle preferenze, come se non fosse la parte meno rilevante della trattativa a fronte della governabilità e dell’esito bipolare garantito dal ballottaggio. D’altra parte già le polemiche pretestuose sul summit “scandaloso” del Nazereno, tra il giovane segretario e l’anziano pregiudicato, facevano presagire l’attaccamento a vecchi schemi valutativi, intrisi di posizioni “ontologiche” e pertanto incapaci di percepire lo scarto pragmatico tra le due opzioni in gioco.

Oltre alla minoranza PD, altri due attori escono malconci da questa partita, che solo i gli eventi parlamentari futuri potranno connotare come storica. In primis il premier Letta, la cui irrilevanza pratica sul fronte delle riforme istituzionali è pari solo alle incertezze e alle figuracce inanellate negli ultimi mesi. Anche Grillo esce con le ossa rotte dalla breve stagione delle trattative sulle riforme, da sempre auto-relegatosi in un aventino a prescindere, fatto di irrilevanza e di scontrosità adolescenziale per incapacità a relazionarsi con chicchessia, anche con chi poteva concretizzare una svolta annunciata e mai nemmeno tentata. Ma ormai è tardi e forse è iniziato il declino per esaurimento degli astri della politica italiana.


Alla fine, una volta tanto, ha prevalso la ragionevolezza dei numeri e del bene comune sulle pulsioni di parte e sugli interessi particolari. Un buona giornata per la Repubblica!

domenica 19 gennaio 2014

Qualche considerazione in attesa della bozza definitiva di riforma della legge elettorale

Sono abbastanza scontate le razioni scandalizzate della minoranza PD, precedute dall'altolà dei Cuperliani, al summit tra Renzi e Berlusconi: è vecchio e superato l'argomento "ontologico" in base al quale non si deve incontrare il Cavaliere, perchè brutto, sporcaccione e pure pregiudicato. Dopo il vertice di ieri nella sede del PD si profila un compromesso che potrebbe anche ottenere l’OK dei piccoli partiti di centro (Scelta Civica, Casini e soprattutto NCD) su un modello spagnolo, ampiamente modificato rispetto all’originale proposta renziana: piccoli collegi elettorali, liste bloccate, premio di maggioranza/governabilità con soglia minima per l’attribuzione, sbarramento per escludere i “piccoli partitini” e collegio unico nazionale per attribuire i resti alle forze minori coalizzate. L'obiettivo è di garantire bipolarismo e salda governabilità, perlomeno nelle intenzioni dei suoi sponsor.

Se sia davvero una svolta, come enfatizzato da molti, lo si potrà valutare solo lunedì 20 gennaio alla presentazione ufficiale dei contenuti della proposta Renzi-Berlusconi. E’ presto quindi per valutare la nuova legge anche perchè spesso accade che il diavolo si nasconda nei particolari e le anticipazioni della stampa non sono affatto univoche su alcuni punti essenziali. Le variabili da considerare sono due, tra loro correlate:
1-l'entità del premio di maggioranza: 15 o 20% dei seggi?  
2-il livello della “ragionevole” soglia minima per l'attribuzione del premio stesso: 35 o 40% dei voti espressi?.

Il combinato disposto di queste variabili potrebbe risultare antitetico: ad un estremo dello spettro (15% di premio a chi raggiunge il 40% dei consensi) sarebbe praticamente impossibile la governabilità per la difficoltà nel superamento della soglia, a causa del tri-polarismo, mentre all'estremo opposto (20% di seggi in premio a chi oltrepassa la soglia del 35%) sarebbe un po’ più probabile per un partito/coalizione raggiungere la maggioranza assoluta grazie al premio più consistente e alla quota più abbordabile. Infine se nessuno supera la soglia minima "ragionevole", indicata dalla Consulta nella recente sentenza di bocciatura del Porcellum, non scatta più il "premio" e si ritorna di fatto alla prima repubblica.

Con questa legge il rischio di un parlamento ingovernabile comunque è elevato ed esiste in entrambi gli scenari; se ad esempio dalle elezioni dovessero uscire due schieramenti appaiati, ovvero centrodestra e centrosinistra poco sopra il 30%, il premio non verrebbe attribuito si ritorna automaticamente al proporzionale puro, cioè al Porcellum senza premio di maggioranza, vero obiettivo dei proporzionalisti annidati in ogni schieramento e di tutti i fan delle grandi intese a vita.

Riguardo al rischio di alleanze elettorali eterogenee e in balia dei piccoli partiti, come nel caso dell'Ulivo, lo sbarramento nazionale del 5% - per le liste minori coalizzate su tutto il territorio - sarà un incentivo per imbarcare nell'alleanza proprio le forze politiche minori. Anche minimo apporto di consensi potrebbe consentire ad una coalizione di superare gli avversari e quindi incassare tutto il pingue premio di maggioranza (specie se del 20%). In modo speculare i piccoli partiti avranno tutto l'interesse ad offrire i propri voti al miglior offerente, visto che il loro contributo potrebbe essere determinate e fare la differenza rispetto alla coalizione antagonista. In pratica per FI potrebbe essere conveniente riaggregare sia gli alfaniani che fratelli d'Italia e la Lega, mentre al PD sia SC che SEL. 

Altro che "stop al ricatto dei piccoli partitini", come dice Renzi e come vorrebbe far credere l’accordo con Berlusconi. La soglia di sbarramento al 5-8% avrebbe avuto un effetto di drastica semplificazione del quadro politico se valesse solo nei piccoli collegi, dove peraltro esiste già uno sbarramento di fatto del 10-15% ultra-maggioritario, e non a livello nazionale come anticipano i giornali.

Tuttavia ci sarebbe un modo semplice ed efficace per evitare l'ammucchiata in stile Unione e garantire una maggioranza certa e stabile: basterebbe introdurre il ballottaggio tra i due primi classificati del primo turno, nel caso in cui nessuno superi la soglia minima per attribuire il premio di maggioranza. Con la garanzia del ballottaggio non servirebbero ai partiti maggiori il 2 o 3% di questo o quel partitino per superare la soglia minima. Infatti i due partiti maggiori si potrebbero presentare senza contaminazioni e "puri" di fronte all’elettorato. Tutta la posta si giocherebbe al II turno, quando a fare la differenza tra vincente e perdente sarebbe la scelta degli elettori con il loro voto, e non i partitini con i loro potere di condizionamento.

Solo il doppio turno può garantire matematicamente la governabilità, sia che si applichi al modello spagnolo modificato sia che venga inserito nel Mattarellum rivisto con il premio di maggioranza, come propone Scelta Civica. Insomma tutti i modelli possono funzionare, a condizione che prevedano:

1-una "ragionevole" soglia minima per il premio di maggioranza, cioè non inferiore al 40% ;
2-il ballottaggio nel caso in cui nessun partito/coalizione superi la soglia e quindi la maggioranza.


E’ ciò che ha scritto e riscritto (circa il punto 1) a chiare lettere la Corte Costituzionale (in almeno 5 passaggi da pagina 16 a 19) nella recente sentenza di bocciatura del Porcellum. Ma questa soluzione è troppo semplice e razionale per gli interessi di parte, che si sono confrontati in questa lunga e laboriosa trattativa.

martedì 14 gennaio 2014

Bocciato il Porcellum, senza la soglia il premio di maggioranza è distorsivo

Alla fine la bomba ad orologeria è deflagrata, è arrivato il conto dell’oste. Come prevedibile e previsto la Consulta si è pronunciata sulla Porcellum piantando due paletti costituzionali ben saldi sul terreno legislativo che non potranno più essere aggirati dal legislatore. Una legge elettorale legittima non può ignorare le preferenze degli elettori e soprattutto assegnare un numero esorbitante di seggi, in spregio al principio della rappresentanza democratica, senza una soglia minima di consensi o di seggi che permetta al vincente di superare la maggioranza assoluta del parlamento. La Consulta censura in diversi passaggi della sentenza (5 citazioni da pag. 15 a 19) questa distorsione: “Il meccanismo di attribuzione del premio di maggioranza prefigurato dalle norme censurate, inserite nel sistema proporzionale introdotto con la legge n. 270 del 2005, in quanto combinato con l’assenza di una ragionevole soglia di voti minima per competere all’assegnazione del premio, è pertanto tale da determinare un’alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto (art. 48, secondo comma, Cost.)”.


Le motivazioni della bocciatura del Porcellum non lasciano dubbi e nemmeno spazio a soluzioni gattopardesche rispetto a questo basilare principio, sia politico che matematico: la distorsione antidemocratica del Porcellum sta nell’abnorme premio di maggioranza attribuito senza la previsione di una soglia minima. A tal proposito due delle tre proposte di riforma avanzate dal segretario del PD – il modello iberico delle piccole circoscrizioni e il Mattarellum rafforzato dal premio di maggioranza - sono prive di questo specifico requisito e perciò in contrasto con le indicazioni della corte. In entrambe, infatti, manca ogni riferimento alla quota minima per attribuire il premio di maggioranza, previsto nella misura del 15%. Ora il parlamento si dovrà formalmente adeguare, ma soprattutto dovrà ricominciare da capo il lavorio diplomatico messo in campo dai vari esponenti della nuova segreteria del PD nelle prime settimane del nuovo anno.
Rientra invece nelle indicazioni della Consulta l’originaria proposta di revisione del Porcellum sponsorizzata dal leader PD durante la campagna delle primarie, ovvero il modello “sindaco d’Italia” con il doppio turno di coalizione, poi relegato ad opzione di riserva nella triade di modelli proposti all’inizio dell’anno. L’introduzione di un premio di maggioranza fisso e pre-definito, come nel modello iberico e nel Mattarellum rafforzato, ma sempre privo soglia minima non modifica il problema per varie ragioni. Infatti il surplus di seggi potrebbe alterare la rappresentanza democratica nel caso in cui un partito dovesse conseguire il 49% dei seggi in palio, arrivando così assai vicino alla soglia costituzionale critica del 66%.
Senza stabilire una soglia minima, ai fini dell'attribuzione del premio di maggioranza, si rischia di riprodurre la distorsione tra numero di voti e di seggi conquistati, tipica del Porcellum e censurata dalla Consulta, anche in presenza di un premio predefinito e minimo. Ad esempio nel caso del Mattarellum rafforzato da un premio del 15%, anche una piccola differenza di collegi uninominali conquistati da una coalizione rispetto alla seconda - poniamo meno di una mezza dozzina - potrebbe decretare una vittoria spropositata in termini seggi rispetto alla differenza di voti attribuiti, grazie al surplus di seggi conquistati con il premio dal primo arrivato. Va da se, inoltre, che se il partito/coalizione vincente conquista meno del 36% dei seggi - evenienza tutt'altro che improbabile in un contesto tripolare visto che nei collegi uninominali sono in palio solo il 75% dei seggi - non se ne fa niente del premio di maggioranza che diventa un "premietto" di minoranza del tutto ininfluente ai fini della governabilità.
La soluzione sta in un premio variabile, che consenta di arrivare ad una maggioranza parlamentare predefinita - ad esempio un tetto massimo del 55% dell’assemblea, come nella legge dei sindaci - sia a partire da consensi elettorali minimi sia vicini alla maggioranza assoluta. In sostanza per evitare distorsioni antidemocratiche della rappresentanza e garantire nel contempo la governabilità servono tre condizioni: un premio flessibile, una soglia minima ed il tetto massimo di seggi attribuiti al vincitore.
Dalla Consulta è arrivato un sonoro altolà per tutti coloro che pensavano di risolvere la partita della riforma elettorale con formule ambigue e reticenti, che rischiano di riproporre il contesto delle larghe intese come unica soluzione di governo. Potrebbe passare in secondo piano l’esigenza di aggregare il più ampio fronte riformatore per superare il Porcellum, corteggiando le forze politiche ostili all’unica formula che permette di superare l’impasse del tripolarismo, assicurando parimenti rappresentatività democratica, bipolarismo, governabilità ed esito elettorale certo: il doppio turno di coalizione, tanto decantato dalla propaganda elettorale quanto relegato a soluzione di riserva.

sabato 11 gennaio 2014

Attenzione al pronunciamento della Consulta!

Una bomba ad orologeria è in procinto di esplodere facendo saltare, in modo irreversibile, le ipotesi di accordo sulla riforma della legge elettorale, emerse dopo la presentazione del trittico di proposte lanciate nell’arena politica da Matteo Renzi all’inizio dell’anno. La data fatidica è il 15 gennaio, giorno della divulgazione delle motivazioni elaborate dalla Consulta per bocciare il Porcellum nel suo punto più controverso e dirimente, il premio di maggioranza (le liste bloccate e le preferenza sono un elemento rilevante ma di contorno). Purtuttavia, nonostante incomba la spada di Damocle della Consulta, il chiacchiericcio mediatico è proseguito indisturbato attorno ai modelli avanzati da sindaco di Firenze, con il rischio di dover ricominciare da capo all’indomani del 15 gennaio.

Due sono le questioni che condizionano le ipotesi di futura riforma: la Consulta si limiterà a censurare la mancanza di una soglia minima per attribuire il premio, come già adombrato in precedenti sentenze, oppure darà indicazioni anche sulla sua entità? Si tratta di problematiche evidentemente correlate, perché indicando una quota minima di consensi elettorali si definisce indirettamente anche l’entità del premio. Ma cosa accadrà se dovesse prevalere, come appare fino ad ora, un modello di riforma senza la previsione della fatidica soglia? E’ questo il nodo su cui potranno incidere di più le motivazioni della sentenza, a favore o contro un modello piuttosto che l’altro. Ad esempio nelle prime due proposte renziane (i piccoli collegi spagnoli e il Mattarellum, ambedue corretti con un modesto premio di maggioranza) il problema della soglia non viene nemmeno considerato.

Se la Consulta dovesse ribadire che per avere un surplus di voti è necessaria una quota minima di seggi a livello nazionale entrambe le ipotesi sarebbero automaticamente squalificate, per cui tutto il lavorio diplomatico, formale e informale, dispiegato dal PD per risolvere il rebus della riforma sarebbe da archiviare per ricominciare da capo. Peraltro già in una precedente e nota sentenza (la n. 15 del 2008) la Consulta aveva avvertito il “dovere di segnalare al Parlamento l’esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di seggi”. Per l'ennesima volta, in mancanza di un orientamento politico condiviso e soprattutto razionale, le direttive vincolanti della Corte Costituzionale potrebbe fare la differenza ed imprimere alla vicenda una svolta radicale, nel senso di archiviare due delle tre proposte renziane per manifesta incoerenza rispetto ai paletti costituzionali.

Ma anche l’entità del premio non è di poco conto: le due proposte sopra citate, per essere efficaci, presuppongono che un partito/coalizione conquisti perlomeno il 36% di seggi, conditio sine qua non per raggiungere la risicata maggioranza del 51% con il premio fisso del 15%. Tuttavia se si dovesse introdurre il ballottaggio tra i primi due partiti/coalizioni, per ottemperare alle indicazioni della Consulta, l’entità del premio sarebbe insufficiente. La nuova legge dovrebbe quindi prevedere un surplus “flessibile” di seggi in funzione dei voti/seggi conseguiti al primo turno, ovvero un incremento variabile rispetto al 15% ipotizzato nelle due proposte renziane, al fine di garantire al vincitore una vera maggioranza con la conseguente salda governabilità.

Insomma un premio di maggioranza per essere efficace non può essere rigido e definito a priori, ma adattarsi al duplice esito delle votazioni. Ecco perché le motivazioni della Corte, se dovessero affrontare anche questo secondo punto, avranno un impatto determinante nel dibattito politico e nella faticosa elaborazione di un modello di riforma efficace e costituzionalmente valido.  Con il rischio di far saltare tutto e magari di andare alle elezioni con il vecchio sistema maggioritario, come vorrebbero in cuor loro più di un leader di partito.

venerdì 10 gennaio 2014

Il Mattarellum in pole position....ma attenzione a fare i conti senza l'oste!

Tra i due litiganti il Mattarellum gode. Pare proprio questo lo sbocco del confronto politico e delle trattative a distanza seguite alla presentazione dai tre modelli renziani di riforma della legge elettorale, bocciata dalla Consulta all’inizio di dicembre. Se ne sarebbe convinto anche il Cavaliere, dopo un’iniziale preferenza per il modello spagnolo dei piccoli collegi, poi caduto in disgrazia per l’ostilità di altri partiti, in primis i cugini alfaniani di NCD. Tuttavia l’ipotesi di convergenza sul Mattarellum rafforzato deve ancora fare i conti con l’oste, ovverosia con le motivazioni della sentenza di dicembre che hanno cancellato le liste bloccate e l’abnorme premio di maggioranza, di cui ha immeritatamente goduto il centrosinistra alle ultime elezioni grazie ad una manciata di voti di vantaggio.

E’ difficile immaginare che l’alta corte si limiti a cassare il premio di maggioranza incondizionato, che in teoria potrebbe decretare la vittoria elettorale di un partito inferiore al 25%, senza dare indicazioni pratiche sul modo migliore per ovviare a tale palese stortura disproporzionale e antidemocratica. Due sono le possibili contromisure per ripristinare la correttezza democratica del sistema elettorale: l’indicazione di una soglia minima di consensi per attribuire il surplus di eletti e/o un limite massimo di seggi dati in premio al primo classificato.

A queste due condizioni risponde positivamente solo la terza proposta renziana del sindaco d’Italia, peraltro già depositata come disegno di legge da parte di due esponenti del PD, e parzialmente le altre due che si limitano ad indicare la consistenza massima del premio, il 15% circa dei seggi in palio, senza però stabilire quale percentuale di consensi elettorali sia necessaria per poter incassare tale “vincita”. Manca quindi una delle due condizione che, a ben vedere, è semplicemente l’altra faccia della medaglia, perché i due paletti sono entrambi indispensabili, sia dal punto di vista democratico che da quello puramente matematico. Vediamo per quale motivo.

Per potersi assicurare una maggioranza stabile e coesa li partito/coalizione vincente deve raggiungere come minimo il 36% dei seggi che, sommati al 15% dati in premio, assicureranno il controllo dell’assemblea parlamentare. Al di sotto di questa soglia il surplus di eletti sarà ininfluente ai fini della governabilità e si porrà di nuovo il problema dell’allargamento della maggioranza ad altri partiti, sul modello delle larghe intese. Non si tratta di un’ipotesi improbabile, visto che ormai il sistema è stabilmente composto da tre partiti/coalizioni che si spartiscono il mercato elettorale in quote quasi uguali, ovvero con consensi elettorali dal 25 al 30% dei voti espressi. Anzi proprio il tri-polarismo è la causa dell’attuale impasse parlamentare e il problema/rebus che una buona legge elettorale dovrebbe risolvere.

La soluzione, logico-razionale e politica al contempo, è tanto semplice quanto accuratamente rimossa dai primi due modelli della triade di proposte renziane. Va da se che se nessuno supera la soglia minima si dovrà ricorre ad una seconda votazione, ovvero al ballottaggio per l’attribuzione del premio di maggioranza tra le prime due forze politiche maggiormente votate al primo turno. Tuttavia nemmeno il ballottaggio può funzionare senza un’ulteriore clausola matematica, nel caso in cui entrambi i contendenti restino lontani dal 36%. Il premio del II turno dovrà, per forza di cose, essere “elastico” ovvero superiore a quel 15% fino ad ora individuato se si vuole garantire la governabilità, pena il rischio di risultare ancora inefficace.

Razionalità e logica non sempre riescono a far breccia nelle posizioni e nelle decisioni dei partiti politici; per ora hanno prevalso, sull’interesse generale e sulla logica, le pulsioni di potere e le convenienze elettorali di parte. Attendiamo fiduciosi che, ancora una volta, la magistratura sappia porre rimedio a questa discrasia, che paralizza la vita pubblica e blocca l’evoluzione del sistema politico verso una fisiologica alternanza di governo, anche in un assetto multi-polare.


giovedì 2 gennaio 2014

Pregi e difetti delle proposte di riforma di Renzi

Matteo Renzi ha rotto gli indugi e con una lettera indirizzata ai partiti di governo e di opposizione ha anticipato la presentazione della rosa di opzioni di riforma del Porcellum, originariamente in calendario per il 10 gennaio prossimo. Ecco i tre modelli di riforma proposti dal segretario PD ( http://www.europaquotidiano.it/2014/01/02/renzi-riforma-elettorale-a-la-carte-e-propone-tre-soluzioni/ )
 
I.                   Riforma sul modello della legge elettorale spagnola. Divisione del territorio in 118 piccole circoscrizioni con attribuzione alla lista vincente di un premio di maggioranza del 15% (92 seggi). Ciascuna circoscrizione elegge un minimo di quattro e un massimo di cinque deputati. Soglia di sbarramento al 5%.

II.                Riforma sul modello della legge Mattarella rivisitata. 475 collegi uninominali e assegnazione del 25% dei collegi restanti attraverso l’attribuzione di un premio di maggioranza del 15% e di un diritto di tribuna pari al 10% del totale dei collegi

III.              Riforma sul modello del doppio turno di coalizione dei sindaci. Chi vince prende il 60% dei seggi e i restanti sono divisi proporzionalmente tra i perdenti. Possibile sia un sistema con liste corte bloccate, con preferenze, o con collegi. Soglia di sbarramento al 5%.

ANALISI. Le anticipazioni di Renzi sono troppo scarne per dare il quadro di un sistema elettorale efficace ed appropriato. Nel primo e nel terzo modello mancano, forse volutamente, due elementi dirimenti: la soglia minima per far scattare il premio di maggioranza, senza la quale nessun partito/coalizione è in grado di raggiungere la maggioranza, ed il conseguente II° turno nel caso in cui nessun partito/coalizione superi al primo turno tale “sbarramento”. Entrambi gli elementi sono essenziali per ovviare all’assetto tri-polare del sistema politico e per ottemperare alle indicazioni della Consulta, che nella sua recente sentenza ha eliminato l’abnorme premio di maggioranza del Porcellum. Il riferimento al ballottaggio non compare esplicitamente in nessuna delle tre proposte (ma è implicito nella formula del “sindaco d’Italia”) mentre in un sistema tri-polare difficilmente senza un secondo turno elettorale tra i due partiti/coalizioni maggiormente votati al primo turno si potrà assicurare una maggioranza certa e consistente.

Inoltre il premio di maggioranza previsto nelle prime due ipotesi di riforma appare numericamente inadeguato: sia i 92 seggi della "spagnola" sia l'analogo 15% del Mattarellum "rafforzato" potrebbero essere insufficienti per conquistare il parlamento. In entrambi i casi un partito/coalizione dovrebbe superare perlomeno la soglia del 36% dei seggi (circa 230) per prevalere sugli altri grazie al 15% del premio di maggioranza. In particolare il modello spagnolo dei piccoli collegi difficilmente, in presenza di tre blocchi con consensi elettorali simili, come nelle elezioni del 2013, potrà garantire una salda maggioranza e la conseguente governabilità. Facciamo quattro conti: detraendo dalla totalità dei seggi parlamentari (630, con maggioranza a 316) il “premietto” di 92 seggi ne restano 538. Ipotizzando che le tre maggiori forze politiche si dividano in parti più o meno uguali questi seggi avremo tre schieramenti parlamentari variabili da 160 a 200 seggi l’uno; difficilmente quindi uno dei tre potrà conquistare il parlamento perché ne servirebbero non meno di 225 per ottenere la risicatissima maggioranza di 317 seggi. 

Per quanto riguarda il Mattarellum “rafforzato” vale più o meno lo stesso ragionamento; per assicurare una maggioranza parlamentare solida sarebbe più appropriato un surplus di seggi variabile, ad esempio compreso tra il 15 e il 20% in rapporto al numero di collegi uninominali conquistati al primo turno, in misura tale da permettere al partito/coalizione vincente al ballottaggio di superare la soglia del 50%. In entrambi i casi quindi, a fronte di partiti/coalizioni con meno del 36% dei seggi, il premio previsto rischia di essere ininfluente per garantire la maggioranza assoluta e quindi si ritorna nella situazione attuale di ingovernabilità. Per evitare tale esito in modo certo servirebbero quindi alcune condizioni: una soglia minima di sicurezza per far scattare il premio di maggioranza o, in alternativa, un premio di maggiore consistenza da assegnare con il ballottaggio, come nel modello del "sindaco d'Italia".

Nelle prime due proposte una novantina di seggi in più alla coalizione vincente rischiano di essere insufficiente per raggiungere la maggioranza assoluta; all'opposto il 60% attribuito al vincitore nel modello “sindaco d’Italia” appare francamente eccessivo, quasi a rischio di “dittatura” della maggioranza (bastava un premio sufficiente per arrivare al 55%). Peraltro quest’ultima opzione può funzionare, sempre per via del tri-polarismo bloccato, ma solo con il ballottaggio tra i primi due classificati al primo turno, di cui nella scarna anticipazione giornalistica si è persa traccia (il riferimento al doppio turno compare invece nella mail di presentazione dell’iniziativa indirizzata ai militanti: http://www.bigbangumbria.it/auguri-per-un-fantastico-2014-da-matteo-renzi-nella-enews-di-oggi-3-proposte-per-cambiare-la-legge-elettorale/#more-1702).

Riguardo alle dimensioni dei collegi, in relazione al voto di preferenza reintrodotto dalla Consulta, sia nelle piccole circoscrizioni spagnole che nei collegi uninominali vi è il rischio della caccia alle preferenze, a suon di mirabolanti promesse, come accade spesso nella riserva elettoral-clientelare dei vari candidati (molto meno rischiose, da questo punto di vista, sarebbero le grandi circoscrizioni a dimensione provinciale o regionale). Infine dal punto di vista della rappresentatività democratica lo “spagnolo” porterebbe alla totale cancellazione di gruppi politici anche consistenti, ovvero con percentuali tra il 5 e il 10%. Infatti per conseguire un seggio in collegi composti da 4-5 candidati servirebbero consensi elettorali minimi del 10-15%. Una semplificazione di fatto troppo drastica che, sommata alla soglia di sbarramento nazionale del 5%, è destinata a provocare la comprensibile levata di scudi delle forze minori estranee ai tre poli. All’opposto la formula del “sindaco d’Italia”, per la sua ampia rappresentatività proporzionale e la garanzia di governabilità data dal premio di maggioranza con doppio turno, sarà certamente appoggiata da tutti i partiti minori e dalle forze politiche maggiormente radicate in alcuni territori.

CONCLUSIONI. La seconda e la terza opzione avanzate da Renzi non costituiscono certo una novità e rappresentano due ipotesi valide, seppur con qualche ritocco migliorativo soprattutto nel senso di prevedere esplicitamente il secondo turno; non si può dire altrettanto del modello “spagnolo” senza doppio turno, new entry proposta per venire incontro alle esigenze della neo-FI. Non si capisce infatti come la formula dei piccoli collegi possa attribuire anche il premio di maggioranza, indispensabile per garantire la governabilità e il bipolarismo in uno schema tri-polare, senza una soglia minima e senza l'eventuale ballottaggio tra due delle tre coalizioni maggiormente votate al primo turno (ammesso, e non concesso, che il surplus di soli 92 seggi sia sufficiente per assicurare la maggioranza assoluta). Per i suoi difetti l’opzione “spagnola” è destinata a raccogliere ben pochi consensi, la contrarietà dei partiti estranei ai tre poli maggiori e probabilmente l’opposizione dichiarata del movimento cinque stelle.

Probabilmente per esigenze di sintesi giornalistica le proposte renziane appaiono schematiche e per certi versi nebulose rispetto a quelle circolate in questi mesi e soprattutto senza alcun accenno al doppio turno, indispensabile per ovviare all'effetto paralizzante del tri-polarismo. Forse questo è il loro pregio per innescare le trattative nell’arena politica, che tuttavia non asseconda l’esigenza di chiarezza richiesta dall’opinione pubblica su questo annoso e delicato capitolo riformatore.