Una bomba ad orologeria è in procinto di esplodere facendo
saltare, in modo irreversibile, le ipotesi di accordo sulla riforma della legge
elettorale, emerse dopo la presentazione del trittico di proposte lanciate
nell’arena politica da Matteo Renzi all’inizio dell’anno. La data fatidica è il
15 gennaio, giorno della divulgazione delle motivazioni elaborate dalla
Consulta per bocciare il Porcellum nel suo punto più controverso e dirimente,
il premio di maggioranza (le liste bloccate e le preferenza sono un elemento
rilevante ma di contorno). Purtuttavia, nonostante incomba la spada di Damocle
della Consulta, il chiacchiericcio mediatico è proseguito indisturbato attorno
ai modelli avanzati da sindaco di Firenze, con il rischio di dover ricominciare
da capo all’indomani del 15 gennaio.
Due sono le questioni che condizionano le ipotesi di futura
riforma: la Consulta si limiterà a censurare la mancanza di una soglia minima
per attribuire il premio, come già adombrato in precedenti sentenze, oppure
darà indicazioni anche sulla sua entità? Si tratta di problematiche
evidentemente correlate, perché indicando una quota minima di consensi
elettorali si definisce indirettamente anche l’entità del premio. Ma cosa
accadrà se dovesse prevalere, come appare fino ad ora, un modello di riforma
senza la previsione della fatidica soglia? E’ questo il nodo su cui potranno
incidere di più le motivazioni della sentenza, a favore o contro un modello
piuttosto che l’altro. Ad esempio nelle prime due proposte renziane (i piccoli
collegi spagnoli e il Mattarellum, ambedue corretti con un modesto premio di
maggioranza) il problema della soglia non viene nemmeno considerato.
Se la Consulta dovesse ribadire che per avere un surplus di
voti è necessaria una quota minima di seggi a livello nazionale
entrambe le ipotesi sarebbero automaticamente squalificate, per cui tutto il
lavorio diplomatico, formale e informale, dispiegato dal PD per risolvere il
rebus della riforma sarebbe da archiviare per ricominciare da capo. Peraltro
già in una precedente e nota sentenza (la n. 15 del 2008) la Consulta aveva
avvertito il “dovere di segnalare al Parlamento l’esigenza di considerare con
attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina
l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima
di voti e/o di seggi”. Per l'ennesima volta, in mancanza di un orientamento
politico condiviso e soprattutto razionale, le direttive vincolanti della Corte Costituzionale
potrebbe fare la differenza ed imprimere alla vicenda una svolta radicale, nel
senso di archiviare due delle tre proposte renziane per manifesta incoerenza
rispetto ai paletti costituzionali.
Ma anche l’entità del premio non è di poco conto: le due
proposte sopra citate, per essere efficaci, presuppongono che un
partito/coalizione conquisti perlomeno il 36% di seggi, conditio sine qua non
per raggiungere la risicata maggioranza del 51% con il premio fisso del 15%.
Tuttavia se si dovesse introdurre il ballottaggio tra i primi due partiti/coalizioni,
per ottemperare alle indicazioni della Consulta, l’entità del premio sarebbe
insufficiente. La nuova legge dovrebbe quindi prevedere un surplus “flessibile”
di seggi in funzione dei voti/seggi conseguiti al primo turno, ovvero un incremento
variabile rispetto al 15% ipotizzato nelle due proposte renziane, al fine di
garantire al vincitore una vera maggioranza con la conseguente salda governabilità.
Nessun commento:
Posta un commento