sabato 11 gennaio 2014

Attenzione al pronunciamento della Consulta!

Una bomba ad orologeria è in procinto di esplodere facendo saltare, in modo irreversibile, le ipotesi di accordo sulla riforma della legge elettorale, emerse dopo la presentazione del trittico di proposte lanciate nell’arena politica da Matteo Renzi all’inizio dell’anno. La data fatidica è il 15 gennaio, giorno della divulgazione delle motivazioni elaborate dalla Consulta per bocciare il Porcellum nel suo punto più controverso e dirimente, il premio di maggioranza (le liste bloccate e le preferenza sono un elemento rilevante ma di contorno). Purtuttavia, nonostante incomba la spada di Damocle della Consulta, il chiacchiericcio mediatico è proseguito indisturbato attorno ai modelli avanzati da sindaco di Firenze, con il rischio di dover ricominciare da capo all’indomani del 15 gennaio.

Due sono le questioni che condizionano le ipotesi di futura riforma: la Consulta si limiterà a censurare la mancanza di una soglia minima per attribuire il premio, come già adombrato in precedenti sentenze, oppure darà indicazioni anche sulla sua entità? Si tratta di problematiche evidentemente correlate, perché indicando una quota minima di consensi elettorali si definisce indirettamente anche l’entità del premio. Ma cosa accadrà se dovesse prevalere, come appare fino ad ora, un modello di riforma senza la previsione della fatidica soglia? E’ questo il nodo su cui potranno incidere di più le motivazioni della sentenza, a favore o contro un modello piuttosto che l’altro. Ad esempio nelle prime due proposte renziane (i piccoli collegi spagnoli e il Mattarellum, ambedue corretti con un modesto premio di maggioranza) il problema della soglia non viene nemmeno considerato.

Se la Consulta dovesse ribadire che per avere un surplus di voti è necessaria una quota minima di seggi a livello nazionale entrambe le ipotesi sarebbero automaticamente squalificate, per cui tutto il lavorio diplomatico, formale e informale, dispiegato dal PD per risolvere il rebus della riforma sarebbe da archiviare per ricominciare da capo. Peraltro già in una precedente e nota sentenza (la n. 15 del 2008) la Consulta aveva avvertito il “dovere di segnalare al Parlamento l’esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di seggi”. Per l'ennesima volta, in mancanza di un orientamento politico condiviso e soprattutto razionale, le direttive vincolanti della Corte Costituzionale potrebbe fare la differenza ed imprimere alla vicenda una svolta radicale, nel senso di archiviare due delle tre proposte renziane per manifesta incoerenza rispetto ai paletti costituzionali.

Ma anche l’entità del premio non è di poco conto: le due proposte sopra citate, per essere efficaci, presuppongono che un partito/coalizione conquisti perlomeno il 36% di seggi, conditio sine qua non per raggiungere la risicata maggioranza del 51% con il premio fisso del 15%. Tuttavia se si dovesse introdurre il ballottaggio tra i primi due partiti/coalizioni, per ottemperare alle indicazioni della Consulta, l’entità del premio sarebbe insufficiente. La nuova legge dovrebbe quindi prevedere un surplus “flessibile” di seggi in funzione dei voti/seggi conseguiti al primo turno, ovvero un incremento variabile rispetto al 15% ipotizzato nelle due proposte renziane, al fine di garantire al vincitore una vera maggioranza con la conseguente salda governabilità.

Insomma un premio di maggioranza per essere efficace non può essere rigido e definito a priori, ma adattarsi al duplice esito delle votazioni. Ecco perché le motivazioni della Corte, se dovessero affrontare anche questo secondo punto, avranno un impatto determinante nel dibattito politico e nella faticosa elaborazione di un modello di riforma efficace e costituzionalmente valido.  Con il rischio di far saltare tutto e magari di andare alle elezioni con il vecchio sistema maggioritario, come vorrebbero in cuor loro più di un leader di partito.

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