Tra i due litiganti il Mattarellum gode. Pare proprio questo
lo sbocco del confronto politico e delle trattative a distanza seguite alla
presentazione dai tre modelli renziani di riforma della legge elettorale,
bocciata dalla Consulta all’inizio di dicembre. Se ne sarebbe convinto anche il
Cavaliere, dopo un’iniziale preferenza per il modello spagnolo dei piccoli
collegi, poi caduto in disgrazia per l’ostilità di altri partiti, in primis i
cugini alfaniani di NCD. Tuttavia l’ipotesi di convergenza sul Mattarellum
rafforzato deve ancora fare i conti con l’oste, ovverosia con le motivazioni
della sentenza di dicembre che hanno cancellato le liste bloccate e l’abnorme
premio di maggioranza, di cui ha immeritatamente goduto il centrosinistra alle
ultime elezioni grazie ad una manciata di voti di vantaggio.
E’ difficile immaginare che l’alta corte si limiti a cassare
il premio di maggioranza incondizionato, che in teoria potrebbe decretare la
vittoria elettorale di un partito inferiore al 25%, senza dare indicazioni
pratiche sul modo migliore per ovviare a tale palese stortura disproporzionale
e antidemocratica. Due sono le possibili contromisure per ripristinare la
correttezza democratica del sistema elettorale: l’indicazione di una soglia
minima di consensi per attribuire il surplus di eletti e/o un limite massimo di
seggi dati in premio al primo classificato.
A queste due condizioni risponde positivamente solo la terza
proposta renziana del sindaco d’Italia, peraltro già depositata come disegno di
legge da parte di due esponenti del PD, e parzialmente le altre due che si
limitano ad indicare la consistenza massima del premio, il 15% circa dei seggi
in palio, senza però stabilire quale percentuale di consensi elettorali sia
necessaria per poter incassare tale “vincita”. Manca quindi una delle due
condizione che, a ben vedere, è semplicemente l’altra faccia della medaglia,
perché i due paletti sono entrambi indispensabili, sia dal punto di vista
democratico che da quello puramente matematico. Vediamo per quale motivo.
Per potersi assicurare una maggioranza stabile e coesa li
partito/coalizione vincente deve raggiungere come minimo il 36% dei seggi che,
sommati al 15% dati in premio, assicureranno il controllo dell’assemblea
parlamentare. Al di sotto di questa soglia il surplus di eletti sarà
ininfluente ai fini della governabilità e si porrà di nuovo il problema
dell’allargamento della maggioranza ad altri partiti, sul modello delle larghe
intese. Non si tratta di un’ipotesi improbabile, visto che ormai il sistema è
stabilmente composto da tre partiti/coalizioni che si spartiscono il mercato
elettorale in quote quasi uguali, ovvero con consensi elettorali dal 25 al 30%
dei voti espressi. Anzi proprio il tri-polarismo è la causa dell’attuale
impasse parlamentare e il problema/rebus che una buona legge elettorale
dovrebbe risolvere.
La soluzione, logico-razionale e politica al contempo, è
tanto semplice quanto accuratamente rimossa dai primi due modelli della triade
di proposte renziane. Va da se che se nessuno supera la soglia minima si dovrà
ricorre ad una seconda votazione, ovvero al ballottaggio per l’attribuzione del
premio di maggioranza tra le prime due forze politiche maggiormente votate al
primo turno. Tuttavia nemmeno il ballottaggio può funzionare senza un’ulteriore
clausola matematica, nel caso in cui entrambi i contendenti restino lontani dal
36%. Il premio del II turno dovrà, per forza di cose, essere “elastico” ovvero
superiore a quel 15% fino ad ora individuato se si vuole garantire la
governabilità, pena il rischio di risultare ancora inefficace.
Razionalità e logica non sempre riescono a far breccia nelle
posizioni e nelle decisioni dei partiti politici; per ora hanno prevalso,
sull’interesse generale e sulla logica, le pulsioni di potere e le convenienze
elettorali di parte. Attendiamo fiduciosi che, ancora una volta, la
magistratura sappia porre rimedio a questa discrasia, che paralizza la vita
pubblica e blocca l’evoluzione del sistema politico verso una fisiologica
alternanza di governo, anche in un assetto multi-polare.
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