sabato 29 novembre 2014

Elezioni tra lealtà, defezione e protesta


 L’esito delle recenti elezioni regionali ha gettato scompiglio nel mondo politico, più per l’eclatante fenomeno dell’astensione che non per i risultati della consultazione. Il dibattito si è focalizzato sul significato della scelta astensionista, in particolare nella regione Emilia Romagna dove fino alla fine del secolo scorso si registravano percentuali di votanti vicine se non superiori al 9O%. Per comprendere il significato politico e sociale delle elezioni emiliane può essere utile richiamare lo schema interpretativo formulato quasi cinquant’anni fa dall’economista e storico delle idee statunitense Albert O. Hirschman (Lealtà, defezione, protesta, Bompiani, Milano, 2002), secondo il quale la relazione tra un fornitore di beni/servizi e i consumatori è influenzata da una sorta di lealtà che lega l’acquirente al marchio prescelto o al fornitore abituale di un servizio. Tuttavia questa relazione è instabile e allorché un consumatore giudica insoddisfacente la qualità del bene/servizio, rispetto alle aspettative e al bisogno, la lealtà nei confronti dell’azienda entra in crisi e, nel caso di grande delusione, può decidere di passare all’azione. Il cliente ha a disposizione due opzioni che, direttamente o indirettamente, possono influenzare la gestione delle organizzazioni che non corrispondono più alle attese degli utenti.
  • L’uscita (exit) o defezione. È la strategia più “economica” in quanto il consumatore, allorché l’insoddisfazione supera la soglia fisiologica, rompe la relazione e si rivolge a un fornitore concorrente. Questa scelta “di rottura” ha un carattere impersonale e privato, in quanto sanzione indiretta ed opaca alla percezione del fornitore. Sta all’azienda cercare di comprendere le motivazioni dell’insoddisfazione che sta dietro all’uscita di un consistente numero di consumatori, che si potrebbe riflettere, ad esempio, sull’andamento delle vendite, con conseguenti problemi di bilancio. I clienti possono con la loro uscita decidere il destino di intere aziende, tant’è che le imprese private sono assai sensibili ai segnali di defezione della clientela. Va da sé che, al contrario, in una situazione di monopolio o di oligopolio collusivo il consumatore non potrà far leva sull’opzione uscita, come in certa misura è accade per alcuni servizi della pubblica amministrazione.
  •  La voce o protesta. In alternativa all’exit, il cittadino può esprimere apertamente il proprio malcontento arrivando a forme di aperta protesta, individuale o collettiva. Quando la delusione supera il livello di lealtà che il consumatore prova verso un fornitore, egli può “alzare la voce”, denunciando l’inefficienza di un servizio, la scadente qualità di un bene o la lesione di alcuni diritti. L’opzione voce, all’opposto della defezione, ha un carattere pubblico, sia perché può essere messa in atto collettivamente (ad esempio la class action dei consumatori americani) sia perché l’iniziativa di un singolo può trovare una risonanza collettiva (azioni di protesta pubblica, segnalazioni a trasmissioni radiofoniche o televisive, appelli, petizioni o lettere aperte a giornali, siti web ecc.). Infatti, l’obiettivo della voce è quello di rivolgersi esplicitamente al produttore di beni o servizi per ottenere un miglioramento della situazione insoddisfacente. Alla base della voce troviamo la delusione per aspettative o diritti non garantiti, che derivano da valori e regole di condotta socialmente condivise. Quando il cittadino giudica che tali valori siano stati disattesi e non ritiene di dovervi rinunciare può scegliere l’opzione voce, che si dimostra più adatta della defezione ad innescare un cambiamento e più coerente con il carattere pubblico del diritto negato.
 Lo schema analitico proposto nel 1970 dall’economista americano, pur se definito dal suo autore un “modello così primitivo”, si è in realtà rivelato “in grado di render conto di situazioni ed esperienze così differenti” e quindi può essere utilizzato anche per spiegare le scelte di voto dei cittadini Emiliano-Romagnoli. E’ tuttavia necessario un adattamento dell’originale modello interpretativo di Hirschmann al contesto elettorale e alla modalità di espressione del consenso/dissenso politico mediante il voto. In modo un po’ schematico si può affermare che
  •  il passaggio dell’elettore da un partito all’altro ha i connotati della defezione e nel contempo però segnala una manifestazione di consenso alternativo, che assume il significato della “voce” quando si indirizza verso una formazione politica di opposizione, che fa delle protesta la propria bandiera elettorale;
  •  l’astensione e la scheda bianca/nulla hanno invece un indiscutibile significato di defezione e di rifiuto radicale del sistema di rappresentanza politico-elettorale, sebbene nelle recenti elezioni regionali emiliane hanno assunto implicitamente una valenza di protesta/voce, perlomeno in relazione al voto di un partito come vedremo più avanti.
 Nell’originaria proposta interpretativa di Hirschmann le due opzioni hanno un carattere alternativo e tenderebbero ad escludersi per una relazione inversa di tipo “idraulico”, nel senso che la facilità dell’uscita riduce la propensione alla voce. La protesta infatti ha un carattere pubblico e spesso richiede il concorso e il coordinamento di diversi attori sociali a differenza dell’atto individuale della defezione: secondo l’economista americano “la presenza dell’alternativa-uscita potrebbe tendere ad atrofizzare lo sviluppo dell’arte della voce”. Come tenterò di dimostrare, sulla base dei flussi elettorali emiliani, in caso di elezioni l’alternativa tra uscita e voce non è così netta, poiché le due opzioni in certa misura si sovrappongono e si influenzano vicendevolmente, come peraltro ha dimostrato lo stesso Hirschmann con l’analisi delle vicende politico-sociali che hanno portato alla caduta del Muro di Berlino e alla dissoluzione della DDR. Le elezioni politiche rappresentano, a mio avviso, un caso particolare di defezione che, per il suo carattere di simultaneità in una vasta popolazione, assume anche connotati di “voce” collettiva, come effetto inintenzionale dell’uscita contemporanea di un gruppo consistente di individui. Stà in questa doppia valenza del voto (defezione personale e voce collettiva) l’effetto dirompente delle elezioni regionali in Emilia Romagna, sebbene il messaggio di protesta inviato dagli elettori sia indiretto e non esplicito.

Dopo questa lunga premessa teorica, vediamo se questo modello interpretativo può essere utilizzato per spiegare i risultati delle elezioni Emiliane.

L’astensione del 60% degli elettori Emiliani è certamente il dato che ha sconcertato i decisori politici e gli osservatori elettorali, per la massiciia defezione dei cittadini dalla rappresentanza politica, in una regione che ha sempre espresso un’elevata partecipazione civica e una radicata sensibilità democratica. L’analisi dei flussi elettorali dell’Istituto Cattaneo ha dimostrato che, rispetto al voto europeo di primavera, tutti i partiti hanno risentito della fuga dalla cabina elettorale, con punte del 70% circa per gli elettori pentastellati, del 40-60% per PD e FI e del 20-30% nel caso della Lega Nord. Vediamo in dettaglio il possibile significato di questa uscita di massa.

La defezione dell’elettorato Cinque Stelle ha certamente il significato di una delusione per le divisioni, i contrasti interni, gli esiti empirici del movimento grillino e segnala un cambiamento di orientamento dell’elettore “protestatario” del recente passato. La protesta elettorale nelle elezioni politiche del 2013 aveva premiato il M5S mentre oggi la maggior parte di quello stesso elettorato sceglie l’uscita per esprimere il proprio malessere, poichè la voce non trova una sponda politica alternativa al M5S stesso. In questo caso si conferma il carattere alternativo dell’uscita rispetto alla voce, ipotizzato da Hirschmann.

Lo stesso fenomeno riguarda, seppur in misura percentuale inferiore, anche il PD, che però assume un valore più significativo se si considera il radicamento sociale del partito tra l’elettorato ex-comunista nella principale regione rossa. Tuttavia la defezione di quasi la metà degli elettori del PD assume anche un significato di protesta. Sulla scelta dell’astensione per oltre mezzo milione di ex-elettori “democratici” hanno pesato certamente i contrasti tra le correnti interne del partito e il conflitto tra la maggioranza renziana al governo e il sindacato storico della sinistra, altrettanto radicato nella regione rossa. Il dissenso targato PD, secondo alcune voci fomentato se non organizzato dalla GCIL/FIOM, come nel caso dei grillini ha optato per l’uscita/defezione dalla cabina elettorale, piuttosto che dirigersi per protesta verso le formazioni di sinistra alternative al partito renziano, beneficiarie solo in minima parte del consenso deli elettori democratici in uscita. Evidentemente la lealtà degli ex-elettori PD verso “la ditta” non è venuta meno, si è tradotta più che altro in una defezione collettiva anonima e solo in minima parte in una “voce” di protesta/tradimento verso il partito erede della tradizione comunista, come forse speravano i dirigenti regionali di SEL. La defezione dall’elettore viene giustamente letta dagli osservatori politici anche come un messaggio di protesta lanciato dagli Emiliani alla direzione nazionale del PD, a cui lo stesso elettorato aveva riservato un ampio consenso pochi mesi prima nelle elezioni Europee. In sostanza tra gli elettori della sinistra tradizionale ha prevalso il senso di fedeltà e di affiliazione verso il partito, che ha impedito di riversare il consenso su altre formazioni politiche, pur esprimendo con l’astensione anche un chiaro segnale di disagio e di critica, che tuttavia resta per ora sospeso e non definitivo.

Il caso di FI è invece particolare poiché gli ex-elettori berlusconiani hanno preso due strade alternative: la maggioranza ha optato per la defezione/astensione e una percentuale inferiore (circa la metà rispetto al non voto) ha invece scelto di convogliare il consenso elettorale verso l’unica formazione che ha saputo dar “voce” al malcontento, ovvero la LN. Anche perché l’orientamento politico nazionale di FI, centrato da quasi una anno sul patto del Nazareno, ha perso i connotati dell’opposizione e non riesce più a dar voce alla protesta, come invece  ha fatto efficacemente il giovane leader della Lega negli ultimi mesi. Non a caso la lega nord ha avuto la maggiore crescita percentuale di voti, rispetto alle elezioni Europee, proprio a scapito proprio di FI, a riprova  del travaso di voti di protesta nell’elettorato di centrodestra, da un partito all’altro della stessa galassia politica.

Conclusioni. Lo schema interpretativo di Hirschmann pur datato mantiene una sua efficacia anche nell’applicazione alle elezioni politiche, seppur a prezzo di una attenuazione dell’alternativa “idraulica” tra uscita e voce, ipotizzata a suo tempo dall’economista americano. Sono tuttavia necessari ulteriori riscontri empirici, oltre all’analisi dei flussi elettorali, per poter validare il valore di “voce” insito in alcune scelte elettorali collettive, come ad esempio l’astensione di massa verificatasi nelle elezioni regionali dell’Emilia Romagna.


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
  •  Istituto Cattano (analisi a cura di Dario Tuorto), Elezioni regionali 2014. Un crollo atteso ma non per questo meno preoccupante ( http://www.cattaneo.org/images/Analisi%20Istituto%20Cattaneo%20-%20Regionali%202014%20-%20Astensionismo%20in%20E-R%2024.11.14.pdf )
  • Istituto Cattaneo (Analisi a cura di Piergiorgio Corbetta, Andrea Pedrazzani, Luca Pinto e Rinaldo Vignati) Elezioni regionali Emilia-Romagna 2014. I flussi elettorali a Bologna, Modena, Reggio Emilia e Parma                 (http://www.cattaneo.org/imagesAnalisi%20Istituto%20Cattaneo%20-%20Regionali%202014%20-%20I%20flussi%20in%20Emilia-Romagna%2025.11.14.pdf )
  •  Diamanti I., Quando l’elettore non fa più atti di fede, così la Calabria si scopre più rossa dell’Emilia, La Repubblica, 25-11-2014
  •  Franchi P., Il messaggio a Renzi spedito dall’Emilia, Corriere della Sera, 25.11.2014
  • Hirschmann A. O., Autosovversione, Il Mulino, Bologna, 2003
  • Hirschmann A. O., Felicità pubblica felicità privata, Il Mulino, Bologna, 2003.
  • Maggini N., Regionali Emilia-Romagna: record storico di astensioni, ma i rapporti di forza rimangono inalterati a vantaggio del Pd ( http://cise.luiss.it/cise/2014/11/24/regionali-emilia-romagna-record-storico-di-astensioni-ma-i-rapporti-di-forza-rimangono-inalterati-a-vantaggio-del-pd/ )
  • Poma L., LA DIMENSIONE ERMENEUTICA DELL'ECONOMIA IN ALBERT O.HIRSCHMAN, Bologna 1994 (http://www2.dse.unibo.it/wp/201.pdf )
  • Vino A., “Uscita e voce per l’innovazione della Pubblica Amministrazione”, Studi Organizzativi, 1-2000

mercoledì 19 novembre 2014

Italicum 2.0 ovvero i pregi del premio alla lista



La commissione affari costituzionali del Senato ha iniziato l’esame dell’Italicum a più di sei mesi dall’approvazione del testo della legge elettorale da parte della Camera. Si profila un accordo di massima tra le forze politiche “riformatrici” incentrato su alcuni punti chiave: premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione, capolista “bloccato” ovvero eletto in automatico, doppia preferenza di genere per gli altri candidati, innalzamento della soglia per il premio di maggioranza/ballottaggio e revisione delle soglia di sbarramento. Queste ipotesi di revisione dell’ Italicum “prima maniera” cambiano i connotati della legge fino a trasformare radicalmente la natura del testo licenziato dalla camera, in particolare per le conseguenze dell’attribuzione del  premio di maggioranza alla lista invece che alla coalizione. Vediamo schematicamente in dettaglio i pregi dell'Italicum 2.0.

1-Il premio di maggioranza alla coalizione in passato ha sempre favorito la formazione di alleanze composite e diversificate, a rischio di litigiosità e scarsa coesione in caso di vittoria elettorale, mentre in teoria il premio alla lista dovrebbe disincentivare questa strategia elettorale. Tuttavia anche premiando un singolo partito in lizza, al primo o al II° turno, rimane sempre aperta la strada della federazione in un unico soggetto elettorale di diversi partiti qualora decidessero di aggregarsi in un “listone”, riproponendo di fatto le alleanze del passato. In pratica non è detto che il premio alla lista eviti le “ammucchiate” dell’ultimo ventennio, mentre è certo che il premio di coalizione rappresenti un incentivo alla loro formazione. Nell’attuale assetto politico è probabile che sia PD sia M5S si presentino da soli e forse, proprio per questo, vengano premiati dagli elettori (operazione che aveva  già tentato senza successo il PD guidato da Veltroni a suo tempo). La differenza tra i due diversi premi di maggioranza non è di poco conto e anche se l’esito atteso non è scontato, vale al pena di sperimentare questa nuova opzione, rispetto ai pessimi esempi dati dalle alleanze politiche composite e fragili. 

2-Il numero di collegi. In caso di collegi di piccole dimensioni, come nell’Italicum prima maniera , solo il capolista “bloccato” ha la certezza di essere eletto e quindi di fatto, pur avendo una natura proporzionale, il sistema equivale ad un modello uninominale. La doppia preferenze di genere per gli altri candidati ha poco senso in un piccolo collegio (5-7 seggi) poiché vanifica di fatto la scelta espressa dall’elettore,  a meno che un partito superiori il 30-40% di consensi e si aggiudichi quindi due o più seggi. Invece per gli elettori dei partiti minori, attorno al 10%, l’introduzione delle preferenze sarebbe in pratica una opzione ininfluente e sostanzialmente superflua. Infatti è noto che i piccoli collegi avvantaggiano le grosse formazioni e penalizzano quelle minori, poiché introducono una chiara distorsione antidemocratica della rappresentanza. A meno che  un partito ricorra alle primarie per la selezione dei capilista. Per rendere efficace ed effettiva la preferenza servono quindi collegi composti da almeno il doppio dei seggi, altrimenti anche per le forze minori viene di fatto svuotata la scelta dell’elettore in quanto solo il capolista, bloccato e nominato dall’alto, ha la possibilità di essere eletto. Nelle simulazioni di voto effettuate con i piccoli collegi i capolista supererebbero abbondantemente il 50% dei seggi in palio. Per questo motivo è preferibile un sistema con collegi di maggiori dimensioni che garantiscano un rapporto perlomeno fifty-fifty tra eletti con le preferenze e capilista “bloccati”.

3-Se dovesse passare la proposta di attribuire il premio di maggioranza alla lista non avrebbero più senso le soglie di sbarramento differenziate, previste dall’Italicum in caso di associazione o meno di un partito in una coalizione. Per forza di cose resterebbe un’unica soglia inferiore a quella stabilita dall’Italicum prima maniera – ovvero attorno al 3% - in modo da consentire l’accesso alla rappresentanza parlamentare anche ai partiti minori.

4-Al capolista “boccato”, essendo eletto in automatico a differenza degli altri candidati in lista, non potrebbe essere più concessa la possibilità di candidarsi in altri collegi, criticità del Porcellum confermata nell'Italicum. Al massimo si potrebbe presentare in più di un collegio un candidato che si presentasse solo nella parte della lista con preferenze, mentre sarebbe chiaramente incompatibile il ruolo di capolista bloccato con la presenza in più collegi per raccogliere preferenze. 

L’attribuzione del premio di maggioranza al partito e non alla coalizione cambia radicalmente le regole del gioco elettorale e migliora nettamente la versione dell’Italicum licenziata in primavera dalla camera, conciliando governabilità e alternanza (premio di maggioranza alla lista) con la più ampia rappresentanza democratica (soglia di sbarramento bassa). Per questo motivo le resistenze di alcuni partiti sono destinate ad aumentare, come dimostrano le prime mosse dilatorie in commissione affari costituzionali, a dispetto della ribadita solidità (di facciata) del patto del Nazareno.

lunedì 20 ottobre 2014

Cosa va cercando Matteo Renzi?




Superati gli scogli della Camera continua la navigazione parlamentare dell’Italicum. La rotta al Senato non sarà certo agevole poiché tentativi di arrembaggio o sabotaggio sono sempre possibili, complice un mare politico sempre agitato, numeri risicati della maggioranza e la lobby trasversale dei proporzionalisti nostalgici della prima repubblica.  Come se non bastassero le perduranti tensioni tra le forze politiche, arrivano le dichiarazioni di Matteo Renzi alla direzione PD, che altera l’equilibrio della riforma con la proposta di spostare il premio di maggioranza dalla coalizione alla lista.

Proposte riformatrici, scambi negoziali, trattive o patti più o meno palesi tra forze politiche nascondono l’intento di manipolare le regole elettorali per raggiungere due obiettivi complementari, secondo il modello di gestione strategica dell’incertezza proposto da Crozier:

  • aumentare l’incertezza dell’esito elettorale per le formazioni politiche concorrenti, sia all’interno della propria coalizione sia tra gli avversari
  • conservando invece per se i più ampi margini di manovra, cioè mettendo al riparo la propria parte politica dalla medesima incertezza.

 Ad esempio nella fase di gestazione dell’Italicum il nodo più problematico era la definizione della soglia minima per l’attribuzione del premio di maggioranza per evitare il II turno, elemento di grande incertezza per il Cavaliere in relazione alla difficoltà di mobilitazione del proprio elettorato. Essendo il centrodestra fortemente contrario al ballottaggio aveva fatto di tutto per ottenere una soglia bassa ed abbordabile, ad esempio il 35% o meno, onde evitare il ritorno alla cabina elettorale.

In campagna elettorale Berlusconi aveva nuovamente tentato di depotenziare l'Italicum, sempre per rimettere in discussione il doppio turno. Visto l’esito delle Europee ha ripetutamente garantito lealtà al patto del Nazereno ed ora potrebbe fare buon viso a cattivo gioco, accettando l’innalzamento della  soglia per la conquista del  premio di maggioranza che nei mesi precedenti avrebbe invece voluto abbassare.

Il motivo di questa inversione di rotta è intuibile: con una soglia bassa come quella del testo licenziato dalla Camera (37%) il centrodestra verrebbe surclassato da un PD dato dai sondaggi saldamente sopra il 40%. FI ha sempre mal digerito il doppio turno, ma oggi paradossalmente l'innalzamento della soglia per il premio di maggioranza potrebbe convenire proprio al cavaliere per impedire al PD di trionfare al I turno e costringere il suo candidato premier al ballottaggio.

In questo contesto negoziale sempre instabile si inserisce l’idea renziana di attribuire il premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione. Difficile pensare che la sortita del segretario PD non sia stata in qualche misura concordata con l'altro contraente del patto del Nazareno, visto che mette in discussione le basi dell patto stesso e l'equilibrio raggiunto con il testo licenziato dalla camera.

La proposte di attribuire il premio di maggioranza alla lista e non alle coalizioni mira a spostare gli equilibri interno ai due schieramenti più che quelli tra i due maggiori contendenti. Vediamo in dettaglio le possibili conseguenze della dirompente proposta renziana.

Il PD prenderebbe i classici due piccioni con l’unico legume: taglierebbe definitivamente i ponti con SEL, depotenziando il teorico contributo della sinistra radicale alla vittoria elettorale e attirando definitivamente a se sia la minoranza anti-vendoliana sia quel che resta di Scelta Civica, come peraltro ammesso esplicitamente dallo stesso Renzi in direzione. La pur risicata percentuale elettorale di SEL rappresenta pur sempre una incertezza per la vittoria del premier che Vendola potrebbe usare strategicamente a proprio vantaggio nell’ipotesi di trattativa per una coalizione elettorale. Per di più verrebbero automaticamente squalificate sul nascere tutte le velleità della minoranza civatiana di riaggregare, con Sel e la sinistra sindacale, una forza politica radicale di sinistra alternativa al PD stesso.

Per FI valgono obiettivi speculari nell’area di centrodestra. Se dovesse passare la proposta renziana il ritorno all’ovile dei transfughi alfaniani troverebbe nuovo impulso, prosciugando di fatto il fragile equilibrio interno ad NCD. Ma anche la potenziale aggregazione tra Lega e Fratelli d’Italia, alternativa a FI, potrebbe avere non pochi problemi ad emergere se Salvini e Meloni decidessero di proseguire sulla propria strada a prescindere da un accordo con il Cavaliere. In sostanza per Berlusconi sarebbe l’ultima occasione per radunare sotto le sue ali le anime disperse del centrodestra. Un’operazione comunque ad alto rischio, visti i rapporti non certo idilliaci tra Alfano e Salvini.

Per i pentastellati invece la proposta di Renzi potrebbe essere indifferente, visto che hanno ricusato ogni ipotesi di alleanza, se non vantaggiosa, specie in presenza di un centrodestra frammentato e litigioso che garantirebbe ai grillini il quasi certo passaggio al II turno elettorale in antagonismo diretto con il PD.

Di sicuro la sortita del segretario PD provocherà la coalizione ostile delle forze minori, a rischio di estinzione e perciò disposte ad una lotta all’ultima barricata pur di impedire la modifica dell’Italicum in senso iper-maggioritario. A meno che il nuovo patto del Nazareno non preveda una sostanziosa riduzione delle soglie di sbarramento, ad esempio al 2-3% per tutti rispetto alle attuali soglie inarrivabili dell’Italicum, in modo da garantire a tutti perlomeno la sopravvivenza (le soglie elevate rappresentano per i piccoli partiti il massimo dell’incertezza).

Le prime reazioni dei partiti minori sono di questo tenore – un esponente di SEL ha definito “Sovieticum” la proposta renziana – mentre è giunto abbastanza inatteso il placet di NCD, condizionato dalla revisione al ribasso delle soglie di sbarramento. Dopo una l’inziale contrarietà dei suoi colonnelli anche l’ex Cavaliere ha manifestato una certa disponibilità , subordinata al varo della riforma del Senato in modo da prolungare la Legislatura il più possibile per tentare un recupero di consensi, mentre la calendarizzazione dell’Italicum al senato è ancora incerta.

Difficile comunque immaginare che il disegno renziano, palesemente a misura di PD, possa andare in porto senza provocare reazioni ed accese opposizioni in parlamento.