sabato 26 dicembre 2015

Franza o Spagna purchè....Italicum

All'indomani delle elezioni regionali francesi e, soprattutto, delle politiche spagnole si è riacceso il dibattito politico italiano attorno alla legge elettorale.

Sul piano istituzionale il sistema elettorale delle regionali francesi assomiglia all'Italicum, con due differenze, peraltro non rilevanti: al secondo turno possono accedere tutti i partiti che hanno superato il 10% al primo ed il premio di maggioranza è fissato rigidamente al 25%, indipendentemente dalla percentuale raggiunta dal vincitore del ballottaggio.

Anche la Francia è entrata nel club dei sistemi politici tripolari, che confermano il ruolo del ballottaggio per evitare ingovernabilità e frammentazione politica, come sarebbero stati quelli del primo turno elettorale. Infatti le percentuali del ballottaggio non si sono discostatein modo significativo rispetto a quelle della domenica precedente, perlomeno nelle regioni in cui la corsa per la vittoria era a tre; in 5 macroregioni su 13 le tre liste del II° turno hanno conquistato più o meno 1/3 dei voti l'una, a dimostrazione della necessità del premio di maggioranza per garantire un risultato elettorale certo e una salda governabilità.

L'ncremento dei votanti al ballottaggio, attorno al 10%, ha consentito il ribaltamento dell'esito del primo turno, mettendo in minoranza il FN in tutte le regioni. Ha fatto la differenza, tra primo e secondo turno, la scelta dei socialisti di "sacrificare" le proprie liste nelle regioni in cui si è registrato l'expolit delle due candidate simbolo del FN, Marion al sud e Marine a nord. In queste due regioni chiave il confronto è stato a due, come nello schema del ballottaggio dell'Italicum, ed i risultati hanno penalizzato il FN per il travaso di voti dalle liste socialiste a quelle centriste.

Quando prevale lo spirito unitario sulle divisioni il tradizionale elettorato di sinistra risponde e si mobilita per arginare l'ondata xeno-populista, com'era accaduto all'inizio del secolo con le presidenziali vinte da Chirac su Le Pen padre. Così un buon numero di francesi è tornato alle urne del ballottaggio ed ha saggiamente optato per il male minore, confermando che questo è il criterio di scelta "razionale" in politica, a dispetto del massimalismo e dei difensori della purezza ideologica.
Al dunque i valori repubblicani hanno ridimensionato i fantasmi della repubblica di Vichy e la prospettiva, per nulla campata in aria, di uno scontro sociale a sfondo religioso. Ma per quanto ancora funzionerà il richiamo ai principi repubblicani per fronteggiare i partiti xeno-populisti?

In Spagna è andato in scena un copione speculare a quello francese, con un'inedita frammentazione partitica, addirittura a quattro, che conferma ormai a livello dell'Europa mediterranea il definitivo tramonto del bipolarismo e dell'alternativa secca destra/sinistra. Il risultato finale, opposto a quello emerso dal secondo turno delle elezioni francesi, è stato all'insegna della massima incertezza: un rebus politico che sarà difficile risolvere per dare alla Spagna un governo stabile e coeso, proprio perchè le due nuove formazioni iberiche sono cresciute elettoralmente in netta contrapposizione ai vecchi partiti novecenteschi.

Per decenni il sistema politico è rimasto ingessato sul modello novecentesco della dicotomia tra destra e sinistra, mentre la storia con la caduta del muro di Berlino viaggiava nel senso del superamento di quel modello, o perlomeno dei suoi rappresentanti ed eredi storici, ovvero verso una progressiva differenziazione della rappresentanza politica. A sospingere in questo direzione è stata l'evoluzione di una società sempre più liquida e, a sua volta, ancor più differenziata e anonima, che non poteva non scardinare vecchie appartenenze, identità consolidate, affiliazioni ideali divenute sempre più labili o addirittura dissoltesi nel mare magnum del partito astenista, unico trionfatore delle ultime elezioni seppur nel segno della defezione dalle urne.

Riproporre la vecchia contrapposizione novecentesca, come fa qualche commentatore, sotto le mentite spoglie del conflitto tra partiti di sistema e presunti movimenti anti-sistema appare una semplificazione che non coglie le tensioni a cui è sottoposta la democrazia in Europa. Del resto la frammentazione in 3-4 raggruppamenti parlamentari è la prova provata epirica che l'alternativa elettorale tra destra o sinistra non è più attraente; le nuove formazioni "emergenti" sono accomunate dallo sfruttamento dalla rabbia anti-casta e si propongono come collettore di risentimenti e frustrazioni sociali alimentate dalla crisi economica e dalle tensioni della globalizzazione.

La protesta alimenta il consenso verso i presunti movimenti anti-partiti storici - questi ultimi a loro volta sottoposti alla stessa liquefazione sociale - che capitalizzando il malcontento si candidano ad alternativa politica di sistema in senso classico, come Podemos in Sapagna o il M5S in Italia. L'aspirazione al ricambio generazionale e alla rottura con il passato novecentesco aveva sospinto il Matteo Renzi "rottamatore" prima alla testa del PD e poi al "trionfo" delle Europee; la spinta propulsiva si è però esaurita nella fase successiva, come nelle classiche lune di miele post-elettorali, sotto il peso di riforme osteggiate da ogni lato e di una ripresa economica stentata e poco percepita.

In questo contesto di grandi cambiamenti politici continentali è riemersa la proposta di cambiare l'Italicum da parte di forze politiche centriste e della sinistra PD, peraltro con obiettivi divergenti: da un lato i centristi puntano alla riedizione del premio di maggioranza alla coalizione invece che al partito e, dall'altro, le diverse anime della sinistra PD vagheggiano il ritorno ai collegi uninominali (Bersani) o ad proporzionale stile prima repubblica (Sinistra Italiana).

Fino ad un mese fa il proposito di riformare la riforma, prima ancora della sua entrata in vigore e dell' applicazione "sul campo" per verificarne gli esiti pratici, appariva illogica e irragionevole; oggi dopo il combinato disposto delle elezioni francesi e, soprattutto, di quelle spagnole l'obiettivo appare improponibile, velleitario e soprattutto a rischio di generare ulteriore instabilità politica ed incertezza.
Giustamente il presidente del Consiglio ha definito "benedetto" l'Italicom. In un'Europa avviata verso assetti tripolari o addirittura quadripolari il vecchio proporzionale a turno unico ha perso valore, mentre emerge l'esigenza di un sistema elettorale che garantisca un risultato certo ed una maggioranza univoca per l'intero mandato.

domenica 13 dicembre 2015

La demonizzazione dell'Italicum ovvero la negazione della realtà

La demonizzazione dell'Italicum, in nome di un suo presunto carattere anti-democratico e anti-costituzionale, parte dalla negazione della realtà, dalla cancellazione dei fatti, dall'amnesia delle vicende giuridiche: tutto si confonde si appiattisce nel medesimo giudizio negativo, il prima uguale al dopo, in una valutazione indistinta, in un appiattimento cognitivo che nega le differenze empiriche, i cambiamenti fattuali, l'evoluzione delle cose. Ovviamente il cambiamento non è sinonimo di miglioramento, ma è difficile negare l'evidenza, ovvero che l'oggetto è cambiato e non certo in modo spontaneo, ma per le “istruzioni” impartite da un organo super partes come la Consulta.
L’Italicum non è certo la migliore delle leggi elettorali possibili, non essendo priva di limiti e imperfezioni varie. Tuttavia leggendo certe critiche sembra quasi che sia stata preceduta da una legge bellissima e priva di ogni difetto, e non invece della Porcata bocciata dalla consulta per il fatto di:
1-attribuire in un turno unico la maggioranza dei seggi anche ad un partito o coalizione con percentuali di voti ben lontane dal 50%, come nel 2013, e in teorie pure inferiori al 20% delle schede valide;
2-grazie ad un premio di maggioranza smisurato e virtualmente illimitato, quindi smodatamente distorsivo del principio della rappresentanza proporzionale.

A queste due macroscopiche storture ha posto rimedio l’Italicum, con la ragionevole soglia minima per un premio limitato (altro che “smisurato”) e il ballottaggio “eventuale”; è buffo, ma per i suoi critici la correzione di queste due anomalie pare abbia addirittura aggravato la situazione, tanto da dipingere l’Italiucm come foriero di una soprendente “distorsione gravissima della rappresentanza” perfino peggiore del Porcellum, il che è tutto dire e sintomo di una scotomizzazione amnesia del recente passato.

Quanto al rischio che gli elettori eleggano indirettamente, grazie ai due turni e al premio di maggioranza, il capo del governo, non è ciò che accade di routine in nazioni come il Regno Unito, noto sistema politico totalitario e liberticida? Laddove il leader del partito vincitore diviene automaticamente premier, talvolta con consensi attorno al 30%, grazie al più disproporzionale e distorsivo dei sistemi elettorali, ovvero l’uninominale maggioritario a turno unico. Un’autentica dittatura da maggioranza “garantita”, che fa rigirare nel loculo da quasi due secoli il visconte Alexis de Tocqueville.

Per non parlare delle presidenziali in USA o in Francia; l’elezione del presidente francese si abbina di norma ad una maggioranza parlamentare a suo favore, talvolta di entità bulgara, grazie al doppio turno maggioritario, senza che nessuno se ne scandalizzi o gridi alla dittatura. Quanto alle virtù salvifiche, per la rappresentatività democratica, dell'uninominale maggioritario, propugnato da alcuni ricorrenti anti-Italicum, giova ricordare che
  • in Francia il ballottaggio nei collegi ha garantito al presidente neo-eletto maggioranze parlamentare bulgare, anche dell'80%;
  • in GB all'opposto il collegio uninominale a turno unico ha propiziato in passato a Tony Blair una solida maggioranza assoluta dei seggi con il solo 35% dei consensi raccolti nelle urne, mentre nelle ultime elezioni i liberaldemocratici con il 12,6% di voti hanno avuto un solo rappresentante.
Qual'è quindi il sistema elettorale più antidemocratico? Quale invece tutela meglio la rappresentanza democratica?
Il rischio che un partito con consensi minoritari in valore assoluto si aggiudichi la maggioranza degli eletti è comune a tutti i sistemi elettorali, ma è più accentuato in quelli maggioritari, perché dipende da quanti cittadini decidono di disertare le urne più che dalle modalità di elezione dei loro rappresentanti. Basta considerare le lezioni presidenziali della culla della democrazia, ovvero gli USA, dove Obama nel 2012 è stato eletto con poco più del 50%, cioè grazie ad un pugno di voti in più del suo avversario, a fronte di un’affluenza al voto del solo 49%. In sostanza è diventato presidente con meno del 25% dei voti complessivi e nessuno si è stracciato le vesti.

La necessità di una soglia minima di voti a garanzia della validità del voto attiene ad ogni elezione, sia a doppio turno che singolo; il mancato raggiungimento del 50% di votanti costituisce un problema generale e trasversale ai diversi sistemi elettorali, che testimonia la disaffezione dei cittadini per la democrazia rappresentativa e non certo la “bontà” o illegittimità di una legge elettorale. Lo si potrebbe risolvere solo con l’invalidazione delle elezioni, come accade con i referendum abrogativi che non superano il 50% di affluenza ai seggi, ma a prezzo della ripetizione delle votazioni anche più volte, magari restando per un bel po’ senza governo. Ma ce la vedete la democrazia USA che replica le elezioni presidenziali perché le schede sono risultate inferiori al 50% degli aventi diritto, magari solo per un pugno di votanti in meno?

La garanzia di una maggiore governabilità deriva non tanto dal doppio turno, ma bensì dall’attribuzione del (limitato) premio di maggioranza alla lista invece che alla coalizione, come prevedeva il Porcellum, che non a caso ha prodotto maggioranze tanto composite quanto litigiose e fragili. Ben diverso è stato negli ultimi 20 anni l’esito delle elezioni comunali in quanto a governabilità, anche se tra doppio turno delle elezioni locali e quello introdotto dall'Italicum su scala nazionale vi è solo un’analogia di fondo.

E' banale e risaputo, ma la realtà è fatta di toni di grigio e di gamme cromatiche e non di un bianco-o-nero manicheo o, peggio ancora, della stessa cupa luminosità in cui, come diceva il filosofo, tutti i bovini appaiono ugualmente neri. Le sfumature di grigio si applicano anche al problema della governabilità: se non è garantito che il premio alla lista assicuri la stabilità dell'esecutivo, di certo il premio ad una coalizione frammentata e composita incentiva i comportamenti opportunistici dei partitini, a mo del famoso Ghino di Tacco, con elevato rischio di litigiosità e instabilità, come dimostra la vicenda dell'Ulivo e la caduta di Prodi per mano dei rifondatori.
CONCLUSIONI. Con l'Italicum si è perlomeno ottemperato alla Sentenza di bocciatura del Porcellum, che era incostituzionale per i due ordini di motivi, ben noti: (i) un premio di maggioranza virtualmente illimitato e quindi distorsivo della rappresentanza (ii) in quanto attribuito senza una ragionevole soglia percentuale minima di voti. Il nuovo sistema elettorale ha posto rimedio a questi due gravi difetti e quindi è ritornato nell'alveo della Costituzione, a differenza del Porcellum. Si tratta di fatti incontrovertibili a dimostrazione autoevidente del cambiamento, della differenza tra Porcellum ed Italicum, che può non piacere per altri motivi, ma è un dato di realtà verso il quale le polemiche faziose si infrangono come le onde sugli scogli.
Quindi non servono affatto strane giustificazioni per tentare di imbellettare una legge “altrettanto pessima” del Porcellum, ma solo la sottolineatura della differenza tra il prima di una porcata incostituzionale ed il dopo di una riforma elettorale in linea con i “paletti” piantati dalla Consulta, seppure non certo perfetta e quindi perfettibile. Dunque le differenze tra le due leggi esistono eccome, sono comprensibili anche per un ragazzino, posto che le si voglia vedere con un minimo di onestà intellettuale, e solo da una posizione di parte si potrebbe far finta di nulla, accomunando nel medesimo giudizio negativo leggi ben distinte, se non altro per i due profili di incostituzionalità del Porcellum.  

domenica 6 dicembre 2015

Come uscire dal ginepraio delle primarie all'ombra della Madunina....

Squadra che vince non si cambia! Violare questa regola aurea comporta non pochi rischi di effetti perversi e flop elettorale. Se invece il sindaco uscente non si ripresenta significa che qualche cosa non ha funzionato, che la sua maggioranza non regge più, che è stato sfiduciato dal proprio partito o da un elettorato scontento del suo operato. Il passaggio da un candidato sindaco ad un'altro della stessa area politica è sempre problematico, specie se non avviene dopo due mandati, perchè gli elettori hanno l'occasione di indurre un radicale ricambio se l'amministrazione uscente non li ha soddisfatti.

A Milano però la situazione è ancor più complicata e per certi versi paradossale, per il fatto che non si ripresenta il sindaco uscente, a detta di tutti buon amministratore come testimonia l'indubbio successo dell'Expo, a dispetto dei vari "gufi". Ergo il futuro candidato sindaco deve raccogliere l'eredità della precedente amministrazione, garantire la continuità e il completamento del programma arancione, per poter ambire alla successione; se invece si smarca, prende le distanze dalla giunta uscente ammette implicitamente che il suo predecessore non ha dato buona prova di se e quindi rischia di alienarsi un buon numero di consensi, se non altro tra i cittadini milanesi soddisfatti e favorevoli alla giunta uscente di palazzo Marino.

In teoria tutti i contendenti alle primarie milanesi dovrebbero presentarsi come garanti della continuità rispetto alla giunta Pisapia, ma nel contempo devono in qualche misura distinguersi dagli altri competitor alla successione per ottenere la fiducia del popolo delle primarie e prevalere nelle urne. E qui entra in gioco il livello politico nazionale che, rispetto all'elezione di Pisapia, è radicalmente cambiato, complicando non poco la situazione con divisioni, contrasti e dinamiche di potere che riverberano sulla capitale lombarda il contrasto tra sostenitori renziani ed avversari anti-renziani di sinistra, fuori e dentro il PD, del governo nazionale.

Sala è chiamato a conseguire due obiettivi, solo in parte espliciti e quindi anche  un po' contraddittori, al limite del "doppio legame":
(a) succedere a Pisapia come esponente tecnico riconquistando palazzo Marino al PD renziano, senza però squalificare la precedente amministrazione a cui ha contribuito con la gestione vincente dell'EXPO, ma anzi rivendicandone l'efficacia e nel contempo
(b) emarginare la componente di sinistra anti-renziana, rappresentata in quel di Milano proprio dalle correnti pro-Pisapia dell'alleanza arancione, com'è successo a Roma con la fuoriuscita di Sinistra Italiana, che peraltro sotto la Madonnina garantisce l'appoggio al centrosinistra.

Per quale motivo un cittadino milanese dovrebbe preferire Sala se costui si smarca o squalifica implicitamente la gestione uscente, a cui ha peraltro contribuito in modo significativo? Essendo un un tecnico prestato alla politica, sarà certamente in difficoltà nel portare a termine questo ambiguo mandato nella "battaglia" della primarie milanesi.  Avrebbe certamente preferito un'investitura dall'alto del Nazareno, ma suo malgrado dovrà vedersela con gli elettori di centrosinistra e con la sua versione "civica" milanese, in genere pragmatica ed allergica ai giochetti politici romani, rischiando quindi di bruciarsi come politico ed anche come tecnico prestato alla politica.

Il compito degli altri due candidati in pectore (Majorino e Balzani) è apparentemente più semplice, perchè entrambi avendo avuto ruoli significativi nella giunta Pisapia possono a buon diritto rivendicarne il lascito, presentandosi come garanti della massima continuità programmatica per portare a termine il programma. La logica vorrebbe che uno dei due si ritirasse a favore dell'altro, visto che entrambi afferiscono alla medesima ala sinistra dello schieramento, facendo l'uno il sindaco e l'altro il vice, specie se Fiano dovesse simmetricamente farsi da parte per lasciare campo libero a Sala.

Se non dovesse accadere dovranno procedere ad una campagna elettorale "fratricida", fatta di distinzioni ed "attacchi" l'uno contro l'altro all'insegna de "io sono l'autentico erede di Pisapia" - a mo dei proverbiali polli di Renzo o di fratelli in lotta per il lascito del congiunto - per rastrellare il maggior numero di consensi, facendo ovviamente contento il terzo litigante.  Vedremo nei prossimi giorni se prevarrà lo spirito civico e di schieramento sulle "beghe familiari" e sulle ambizioni personali.

Questo complicato scenario spiega le fibrillazioni di questi giorni nella politica meneghina, a base di schermaglie procedurali, sottili squalifiche reciproche, giochi di partito e corrente, veti incrociati e messaggi cifrati, insomma il peggio della politica politicante, incomprensibile per i cittadini e urticante per i sostenitori, ad eccezione dei militanti schierati sui vari fronti.  Le primarie dovrebbero servire proprio per fare piazza pulita di tutti questi giochetti, da vecchia politica e pura lotta per il potere, per lasciare spazio al giudizio della gente sui programmi e sulle intenzioni dei contendenti alla poltrona di sindaco.

Il candidato unitario sarà deciso dagli gli elettori delle primarie e poi da tutti i milanesi nelle urne elettorali. Una parte politica o una corrente non può certo rivendicare o imporre il "proprio" candidato unitario, che è una contraddizione in termini: se fosse davvero unitario si potrebbe tranquillamente fare a meno delle primarie, evidentemente.

Se invece dovesse prevalere un copione di colpi bassi, ripicche e tentativi di manipolazione del voto, simile a quello andato in scena all'ombra della Lanterna alle recenti primarie Liguri, sarebbe garantito uno sviluppo tafazziano anche per palazzo Marino, fino all'esito di una probabile sconfitta nelle urne. Gli avversari politici naturalmente tifano per questa prospettiva e, per ora,fanno i salti di gioia per la masochistica escalation conflittuale andata in scena nelle ultime settimane nel centrosinistra milanese. Ma a Milano non doveva prevalere lo spirito civico unitario e la concretezza meneghina sulle lotte intestine senza esclusione di colpi della politica nazionale?