Anche
le elezioni comunali del giugno 2016 sono state contrappuntate da
episodi poco chiari di manipolazione del voto, da ambigui tentativi
di distorsione dei risultati, in
una sequenza che parte ben
prima della campagna elettorale.
Tutto è iniziato con le primarie del PD napoletano, che hanno visto
all'opera alcuni candidati impegnati,
all'esterno dei seggi, a
distribuire
spiccioli
ai potenziali elettori per favorire una certa candidatura.
Probabilmente si
è trattato di fatti scarsamente rilevanti sul piano penale, ma
comunque sintomatici di un certo modo di intendere la militanza
politica. Se i protagonisti di questi episodi non hanno avuto
alcun ritegno ad esibire certi comportamenti sulla pubblica via di
una grande città come Napoli, cosa può accadere in privato, lontano
dall'occhio indiscreto delle videocamere, nella
miriade di piccoli paesi
a
rischio sparsi
per la penisola?
Alla
vigilia del voto è scesa in campo la commissione Antimafia, che ha
radiografato le liste di un piccolo campione di comuni sciolti in
precedenza per infiltrazioni della criminalità organizzata. La
conclusione dell'indagine è stata netta e, tutto sommato, abbastanza
scontata:
le liste civiche, autonome dai partiti e solitamente promosse da
piccole
aggregazioni civiche
nei comuni minori, sono a
più alto
rischio di
infiltrazioni
della criminalità organizzata, per orientare il consenso verso
interessi di lobby locali, più o meno trasparenti e legali. Lo
strumento principale per favorire l'ingresso nelle istituzioni locali
di personaggi ambigui o con legami poco commendevoli, come quelli
documentati dall'antimafia, è il voto di preferenza opportunamente
pilotato. Se
poi la lista civica è anche alleata ad un candidato sindaco di un
partito nazionale,
con buone chaces di vittoria o di arrivare al ballottaggio, il “peso”
dei pochi consensi e degli eletti nella lista locale è ancor più
rilevante.
Infine,
dopo il primo turno sono state avviate alcune iniziative giudiziarie,
sempre nel capoluogo campano, per sospetto voto di scambio a carico
di due candidate presenti nella lista del PD, peraltro esclusa dal
ballottaggio. Per ora si tratta solo di ipotesi di reato, che hanno
motivato la perquisizione della sede cittadina del PD, e quindi è
prematuro qualsiasi conclusione circa gli esiti della vicenda. In
ogni caso l'immagine e la “reputazione” del PD partenopeo non ne
esce certo rafforzata e nobilitata. Il commissariamento della
federazione napoletana, annunciato da Renzi dopo la debacle del primo
turno, appare ancor più necessario ed anzi ci si chiede come mai non
sia stato adottato prima di
tali episodi.
Queste
vicende dimostrano con l'evidenza
dei
fatti che il brodo di coltura per la manipolazione del consenso
elettorale sta nel combinato disposto tra
premio di maggioranza alla coalizione e
voto di preferenza
individuale;
la proliferazione
di
liste civiche
ad
personam, specie
se coalizzate
con il
partito maggiore, favorisce
le ambizioni dei tanti
Ghino di Tacco locali,
pronti
a
salire sul carro del vincitore per
far valere il loro potere di interdizione. L'obiettivo
è sempre
lo stesso:
far
leva
su
una nicchia
ecologica sociale
per lucrare sulla rendita di posizione di un
pacchetto
di voti,
modesto
ma
determinante per la vittoria finale del candidato sindaco, sfruttando
al massimo la
notorietà e
i legami sociali dei
candidati in
grado di
rastrellare il maggior numero di preferenze,
anche
grazie
alla promessa di benefici
clientelari, per non dire di peggio (vedasi il caso emblematico delle lezioni comunali a Platì).
L'Italicum,
per fortuna, ha fatto piazza pulita del premio di maggioranza alla
coalizione e ha ridimensionato il voto di preferenza, in un
bilanciamento fifty-fifty rispetto ai cosiddetti capilista bloccati.
I fautori della revisione della legge elettorale vorrebbero invece
re-introdurre proprio le due regole che stanno alla base dei
potenziali fenomeni di distorsione e manipolazione del consenso
elettorale, come dimostrano i
fatti sopra riportati.
A favore di una revisione dell'Italicum, non ancora in
vigore e lontano dalla sua prima verifica sul campo, si è coagulata
un'alleanza trasversale che accomuna gli oppositori del segretario
PD, dalla sinistra interna a quella “esterna”, ed
alcuni
commentatori politici come Eugenio Scalfari e Stefano Folli, da mesi
impegnati in
una bizzarra demolizione
preventiva dell'Italicum.
L'ex
direttore de La Repubblica si è spinto addirittura a subordinare il
proprio voto favorevole alla riforma costituzionale alla revisione
della legge elettorale. Proposta irrazionale e a dir poco
irrealistica, specie a fronte di meno 3 mesi di lavori parlamentari
prima del referendum costituzionale, con un calendario già fitto di
impegni legislativi e un fronte “rivisionista” quanto mai
frammentato, contraddittorio e diviso al proprio interno.
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