Superato lo scoglio delle pregiudiziali di
incostituzionalità l’Italicum si avvia ad affrontare le centinaia
di emendamenti, in particolare quelli targati M5S, a partire dall’undici febbraio.
In contemporanea all’arrivo in aula dell’Italicum il Senato dava finalmente
l’OK alla legge contro il voto di scambio politico mafioso. C’è un tema che
unisce questi eventi e che mette in luce una certa schizofrenia tra i due rami
del parlamento: il ruolo delle preferenze nella riforma della legge elettorale
e nella repressione del voto di scambio. Forse la lobby parlamentare delle
preferenze ignora che le stesse sono lo strumento per clientelismo, localismo,
campanilismo, affarismo di lobby locali, voto di scambio e accordi occulti
(leggi mafie varie) per orientare le preferenze verso questo o quel candidato o
gruppo di potere.
Un esempio di mitico rapporto con il territorio è il
comitato affaristico-politico-tecnico della sanità beneventana venuto alla luce
con il caso della ministra dell'agricoltura. Nelle stesse ore dell’approdo dell’Italicum
alla camera il presidente siciliano Crocetta saliva a Roma per recuperare un po'
di milioni di euro a copertura della voragine del bilancio regionale,
clamorosamente bocciato, prodotta dalle precedenti gestioni ultra-clientelari, che proprio sul voto di preferenza dei "clienti" beneficiati dalle
assunzioni regionali hanno edificato le loro fortune politiche ed elettorali. Rispetto
a questi fenomeni, radicati in molte regioni, i paracadutati da Roma nelle
liste bloccate sono il classico male minore in quanto non dipendono da clientele e portatori di voti locali.
Il prof. D'Alimonte cita sempre il caso delle preferenze
regionali: in Calabria il 90% degli elettori esprime una preferenza mentre in Lombardia
la stessa percentuale arriva al 16%. Non è un caso che le preferenze siano propugnate
dal partito (NCD) più radicato nelle zone ad alta concentrazione di preferenze
e di spinte clientelari. Cosa suggeriscono questi dati di fatto? Dicono che le
preferenze sono espressione della tipica degenerazione personalistica e degli
interessi privati, cemento del distorto rapporto tra elettori ed eletti, che
prevalgono sull'interesse collettivo e sui mitici beni comuni, bandiera della
sinistra radicale.
E' paradossale che una certa sinistra si faccia paladina
delle preferenze, dopo gli anatemi
lanciati per mesi dall’ex segretario PD contro la personalizzazione della
politica, e si appresti a difendere il ruolo perverso assunto dalle medesime nel
sistema politico italiano. Le preferenze sono l’essenza del legame
personalistico e di interesse/scambio reciproco tra candidato e potenziale
elettore, spesso con la mediazione di portatori “interessati” di voti di
preferenza. Tutto sommato fanno meno danni i paracadutati da Roma nei collegi
periferici, che se ne restano nella capitale e non hanno la necessità di curare
le clientele nel fine settimana per garantirsi la rielezione. Come si fa a
sottovalutare queste perverse dinamiche, oggi ancor più rischiose perchè accentuate dalla crisi, dalla pervasività dell’economia criminale e dalla
disoccupazione? Possibile che ci si sia dimenticati dei ras delle preferenze della prima repubblica o
del recente caso Lombardo di voto di scambio politico elettorale mafioso?
Le vere criticità dell'Italicum sono altre ed hanno ben
altro peso sul potenziale esito delle elezioni: soglie di sbarramento troppo
elevate e quindi palesemente antidemocratiche, premio di maggioranza troppo consistente
e soglia minima troppo bassa, limiti messi in risalto dalla sentenza della
corte e che rischiano di far cadere la scure della Consulta anche sull'Italicum.
Criticità che, guarda caso, aumentano il rischio di compravendita e mercanteggiamento
di voti tra i partiti pur di raggiungere la soglia minima ed evitare il
ballottaggio, ovvero il giudizio degli elettori, assai più significativo e
dirimente delle preferenze.
Molti tra
coloro che criticano l’assenza delle preferenze vedrebbero volentieri la
riedizione dei collegi uninominali del Mattarellum al posto delle liste
bloccate in piccole circoscrizioni di tipo spagnolo, che peraltro hanno
superato l’esame della sentenza Consulta. Ma se si riflette un po’ non è
difficile realizzare che i piccoli collegi non sono poi così diversi dal
collegio uninominale. Basta pensare che in presenza di 3 partiti maggiori, che
incassano il 25-30% dei consensi ognuno, i 4-5 posti in lista vengono attribuiti
uno ad ognuno di essi ed eventualmente un secondo a chi dei tre superi il
35-40% dei voti. Questa eventualità si realizza solo se le altre coalizioni
minori restano poco sopra la soglia di sbarramento del 12% mentre se invece superano
il 15% il 4° eletto verrà attribuito a loro. In pratica le piccole circoscrizioni
di tipo spagnolo sono collegi uninominale maggioritari camuffati da liste
proporzionali, perchè solo il capolista ha la sicurezza
di essere eletto; quindi il papabile è riconoscibilissimo e la preferenza
dell’elettore garantita al pari del sistema uninominale maggioritaria.
Nei fatti
le piccole circoscrizioni provocheranno la consueta lotta tra i candidati per finire in cima alla lista mentre il potere di designare il privilegiato
resterà al capo. A meno che, naturalmente, si passi la palla agli elettori
tramite la selezione dei candidati delle primarie, che saranno ancora una volta
lo spartiacque tra partiti “verticistici” e autenticamente attenti al rapporto
con la base degli iscritti e simpatizzanti. Insomma le piccole circoscrizioni
non differiscono troppo dal collegio uninominale maggioritario. Aggiungendo le
preferenze cambierebbe ben poco, a parte naturalmente la proliferazione delle
spese/promesse elettorali clientelari dei vari candidati per accaparrarsi il
maggior numero di consensi personali a scapito degli altri colleghi della lista
di partito.
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