sabato 1 febbraio 2014

L'Italicum verso l'aula, alla prova della lobby trasversale delle preferenze

Superato lo scoglio delle pregiudiziali di incostituzionalità l’Italicum si avvia ad affrontare le centinaia di emendamenti, in particolare quelli targati M5S, a partire dall’undici febbraio. In contemporanea all’arrivo in aula dell’Italicum il Senato dava finalmente l’OK alla legge contro il voto di scambio politico mafioso. C’è un tema che unisce questi eventi e che mette in luce una certa schizofrenia tra i due rami del parlamento: il ruolo delle preferenze nella riforma della legge elettorale e nella repressione del voto di scambio. Forse la lobby parlamentare delle preferenze ignora che le stesse sono lo strumento per clientelismo, localismo, campanilismo, affarismo di lobby locali, voto di scambio e accordi occulti (leggi mafie varie) per orientare le preferenze verso questo o quel candidato o gruppo di potere.

Un esempio di mitico rapporto con il territorio è il comitato affaristico-politico-tecnico della sanità beneventana venuto alla luce con il caso della ministra dell'agricoltura. Nelle stesse ore dell’approdo dell’Italicum alla camera il presidente siciliano Crocetta saliva a Roma per recuperare un po' di milioni di euro a copertura della voragine del bilancio regionale, clamorosamente bocciato, prodotta dalle precedenti gestioni ultra-clientelari, che proprio sul voto di preferenza dei "clienti" beneficiati dalle assunzioni regionali hanno edificato le loro fortune politiche ed elettorali. Rispetto a questi fenomeni, radicati in molte regioni, i paracadutati da Roma nelle liste bloccate sono il classico male minore in quanto non dipendono da clientele e portatori di voti locali.

Il prof. D'Alimonte cita sempre il caso delle preferenze regionali: in Calabria il 90% degli elettori esprime una preferenza mentre in Lombardia la stessa percentuale arriva al 16%. Non è un caso che le preferenze siano propugnate dal partito (NCD) più radicato nelle zone ad alta concentrazione di preferenze e di spinte clientelari. Cosa suggeriscono questi dati di fatto? Dicono che le preferenze sono espressione della tipica degenerazione personalistica e degli interessi privati, cemento del distorto rapporto tra elettori ed eletti, che prevalgono sull'interesse collettivo e sui mitici beni comuni, bandiera della sinistra radicale.

E' paradossale che una certa sinistra si faccia paladina delle preferenze, dopo gli anatemi lanciati per mesi dall’ex segretario PD contro la personalizzazione della politica, e si appresti a difendere il ruolo perverso assunto dalle medesime nel sistema politico italiano. Le preferenze sono l’essenza del legame personalistico e di interesse/scambio reciproco tra candidato e potenziale elettore, spesso con la mediazione di portatori “interessati” di voti di preferenza. Tutto sommato fanno meno danni i paracadutati da Roma nei collegi periferici, che se ne restano nella capitale e non hanno la necessità di curare le clientele nel fine settimana per garantirsi la rielezione. Come si fa a sottovalutare queste perverse dinamiche, oggi ancor più rischiose perchè accentuate dalla crisi, dalla pervasività dell’economia criminale e dalla disoccupazione? Possibile che ci si sia dimenticati dei ras delle preferenze della prima repubblica o del recente caso Lombardo di voto di scambio politico elettorale mafioso?

Le vere criticità dell'Italicum sono altre ed hanno ben altro peso sul potenziale esito delle elezioni: soglie di sbarramento troppo elevate e quindi palesemente antidemocratiche, premio di maggioranza troppo consistente e soglia minima troppo bassa, limiti messi in risalto dalla sentenza della corte e che rischiano di far cadere la scure della Consulta anche sull'Italicum. Criticità che, guarda caso, aumentano il rischio di compravendita e mercanteggiamento di voti tra i partiti pur di raggiungere la soglia minima ed evitare il ballottaggio, ovvero il giudizio degli elettori, assai più significativo e dirimente delle preferenze.

Molti tra coloro che criticano l’assenza delle preferenze vedrebbero volentieri la riedizione dei collegi uninominali del Mattarellum al posto delle liste bloccate in piccole circoscrizioni di tipo spagnolo, che peraltro hanno superato l’esame della sentenza Consulta. Ma se si riflette un po’ non è difficile realizzare che i piccoli collegi non sono poi così diversi dal collegio uninominale. Basta pensare che in presenza di 3 partiti maggiori, che incassano il 25-30% dei consensi ognuno, i 4-5 posti in lista vengono attribuiti uno ad ognuno di essi ed eventualmente un secondo a chi dei tre superi il 35-40% dei voti. Questa eventualità si realizza solo se le altre coalizioni minori restano poco sopra la soglia di sbarramento del 12% mentre se invece superano il 15% il 4° eletto verrà attribuito a loro. In pratica le piccole circoscrizioni di tipo spagnolo sono collegi uninominale maggioritari camuffati da liste proporzionali, perchè solo il capolista ha la sicurezza di essere eletto; quindi il papabile è riconoscibilissimo e la preferenza dell’elettore garantita al pari del sistema uninominale maggioritaria.

Nei fatti le piccole circoscrizioni provocheranno la consueta lotta tra i candidati per finire in cima alla lista mentre il potere di designare il privilegiato resterà al capo. A meno che, naturalmente, si passi la palla agli elettori tramite la selezione dei candidati delle primarie, che saranno ancora una volta lo spartiacque tra partiti “verticistici” e autenticamente attenti al rapporto con la base degli iscritti e simpatizzanti. Insomma le piccole circoscrizioni non differiscono troppo dal collegio uninominale maggioritario. Aggiungendo le preferenze cambierebbe ben poco, a parte naturalmente la proliferazione delle spese/promesse elettorali clientelari dei vari candidati per accaparrarsi il maggior numero di consensi personali a scapito degli altri colleghi della lista di partito. 

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