L’Italicum alla fine è passato anche al senato, nonostante la strenua opposizione di senatori di minoranza del PD e con l’apporto, seppur non determinante, dei voti di Forza Italia. La novità più significativa, assieme alla soglia di sbarramento unica del 3% a livello nazionale, è l'introduzione parziale del voto di preferenza, abbinata all’eliminazione delle liste bloccate. Resta invece il capolista bloccato o nominato, su cui si appuntano le critiche della minoranza PD e di altre forze minori, che non mancheranno di tornare alla carica per la seconda lettura alla Camera, prevista per fine marzo.
L’alternativa
tra capolista bloccato ed eletti con preferenza rimane il punto più controverso
della riforma, poichè entrambi i modelli di delega della rappresentanza hanno
pro e contro, vantaggi e svantaggi, luci ed ombre; tuttavia è indubbio che sia
stato fatto un passo in avanti rispetto al 100% di nominati del Porcellum e della
prima versione dell’Italicum, anche se l'attuale equilibrio rimane indigesto
per molti. Alcune simulazioni prevedono un percentuale del 30-40% di eletti con
la preferenza a fronte del 60-70% di capolista nominati/bloccati. Si tratta di
cifre ancora incerte in relazione allo scenario elettorale ed in particolare all’offerta
di liste concorrenti per il premio di maggioranza, che orienteranno in un senso
o nell’altro il numero di “preferenziati” piuttosto che di capolisti bloccati.
Vediamo perchè con quattro calcoli da lista della spesa.
Se anche la
Camera in II° lettura confermerà i 100 piccoli collegi elettorali (70 composti
da 6 seggi l’uno e 30 da 7) per eleggere il capolista bloccato servirà una
percentuale minima di voti variabile dal 14,2 al 16,2%, mentre per un secondo
eletto designato con le preferenze ne serviranno il doppio (da 28,4 a 32,4%) o
perlomeno un numero abbastanza consistente di “resti”. Ciò significa che solo i
patititi maggiori saranno nelle
condizioni di portare in parlamento deputati designati con le preferenze,
mentre tra quelli minori solo il capolista bloccato avrà la garanzia di essere
eletto grazie ai resti.
Partendo da
queste premesse, proviamo a ricalcolare il rapporto tra nominati e “preferenziati”
sulla base di due scenari elettorali di massima. Quello più probabile prevede
che i tre principali brand elettorali si contenderanno il mercato delle preferenze
- vale a dire la lista del PD, quella unica di centrodestra e quella del M5S -
mentre resterebbero fuori dai giochi le uniche due forze politiche di centro
(NCD) e di sinistra (SEL o altra formazione di radicale) con voti sufficienti
per superare la soglia del 3% a livello nazionale. Ebbene le tre liste
maggiori, in grado di raggiungere agevolmente in quasi tutti i collegi la
soglia minima del 15-17% , non potranno in ogni caso incassare un bottino di
capilista bloccati superiore a 100 l’una, per un totale di 300 seggi
complessivi, vale a dire il 47,6% dei 630 eletti in palio a Montecitorio. I
restanti 330 seggi verrebbe spartiti tra i capolista bloccati dei
partiti minori (40-60 circa) e la quota di deputati designati con le preferenze all’interno delle tre liste maggiori, vale a dire tra 270-290
seggi. Come si vede la percentuale dei “preferenziati” oscillerebbe tra il 43 e
46% circa.
Lo scenario elettorale alternativo, anche se meno probabile, vede NCD e SEL
decidere di tornare all’ovile, ovvero di aggregarsi alla lista unica di
centrodestra e centrosinistra. In questa eventualità la percentuale di eletti
con le preferenze sarebbe destinata ad un ulteriore incremento, arrivando fino
a quota 330 deputati ovvero il 52,4%.
Ma c’è di più. Uno dei punti deboli dell’Italicum, oggetto di fondate
critiche, è la possibilità che il capolista si presenti contemporaneamente in una
decina di collegi. Questa opzione ha però
un curioso effetto collaterale contro-intuitivo, proprio a sfavore dei
nominati: i paladini delle preferenze non hanno considerato che se un capolista
viene eletto in più collegi dovrà esercitare l’opzione per uno solo di essi e
quindi il seggio “vacante” verrà assegnato automaticamente al primo dei non
eletti con le preferenze. Quindi la pluricandidatura dei capolista bloccati,
lungi dal rafforzare il potere di scelta dei nominati da parte dei vertici,
potrebbe invece favorire paradossalmente l’elezione di altri “preferenziati”
rispetto alla quota teorica di 330 o 270-290.
Infine bisogna tenere conto del fatto che il maggior numero
di preferenziati verranno assegnati alla lista nazionale che si aggiudicherà il
premio di maggioranza, al primo turno o al ballottaggio; infatti anche con
percentuali di voto sufficienti per acciuffare il premio il numero dei
capilista bloccati rimane comunque fermo a quota 100, cioè meno di 1/3 del
maggioranza garantita dal premio; di conseguenza i restanti 2/3 e più dovranno
essere pescati nella quota di eletti con le preferenze. Specularmente i
nominati prevarranno di gran lunga nei partiti usciti sconfitti dalle urne. Il
che potrebbe non essere uno svantaggio, poiché sarebbe un disincentivo per il
cambio di casacca tipico dei trasformismo politico del belpaese. Inoltre
l’eventuale passaggio dallo schieramento di minoranza a quello di maggioranza,
oltre ad essere superfluo per via dell’ampia numero di seggi conseguito dal
vincitore, significherebbe automaticamente l’esclusione dalla ricandidatura del
parlamentare eletto come capolista bloccato.
Come si può constatare l’assetto dell’Italiucm 2.0,
licenziato a fine gennaio dal senato, rappresenta un buon equilibrio tra
capilista bloccati e designati con le preferenze, incomparabile rispetto alla prima versione della riforma elettorale.