domenica 8 febbraio 2015

L'Italucum 2.0 tra nominati e "preferenziati"


L’Italicum alla fine è passato anche al senato, nonostante la strenua opposizione di senatori di minoranza del PD e con l’apporto, seppur non determinante, dei voti di Forza Italia. La novità più significativa, assieme alla soglia di sbarramento unica del 3% a livello nazionale, è l'introduzione parziale del voto di preferenza, abbinata all’eliminazione delle liste bloccate. Resta invece il capolista bloccato o nominato, su cui si appuntano le critiche della minoranza PD e di altre forze minori, che non mancheranno di tornare alla carica per la seconda lettura alla Camera, prevista per fine marzo.

L’alternativa tra capolista bloccato ed eletti con preferenza rimane il punto più controverso della riforma, poichè entrambi i modelli di delega della rappresentanza hanno pro e contro, vantaggi e svantaggi, luci ed ombre; tuttavia è indubbio che sia stato fatto un passo in avanti rispetto al 100% di nominati del Porcellum e della prima versione dell’Italicum, anche se l'attuale equilibrio rimane indigesto per molti. Alcune simulazioni prevedono un percentuale del 30-40% di eletti con la preferenza a fronte del 60-70% di capolista nominati/bloccati. Si tratta di cifre ancora incerte in relazione allo scenario elettorale ed in particolare all’offerta di liste concorrenti per il premio di maggioranza, che orienteranno in un senso o nell’altro il numero di “preferenziati” piuttosto che di capolisti bloccati. Vediamo perchè con quattro calcoli da lista della spesa.

Se anche la Camera in II° lettura confermerà i 100 piccoli collegi elettorali (70 composti da 6 seggi l’uno e 30 da 7) per eleggere il capolista bloccato servirà una percentuale minima di voti variabile dal 14,2 al 16,2%, mentre per un secondo eletto designato con le preferenze ne serviranno il doppio (da 28,4 a 32,4%) o perlomeno un numero abbastanza consistente di “resti”. Ciò significa che solo i patititi maggiori  saranno nelle condizioni di portare in parlamento deputati designati con le preferenze, mentre tra quelli minori solo il capolista bloccato avrà la garanzia di essere eletto grazie ai resti.

Partendo da queste premesse, proviamo a ricalcolare il rapporto tra nominati e “preferenziati” sulla base di due scenari elettorali di massima. Quello più probabile prevede che i tre principali brand elettorali si contenderanno il mercato delle preferenze - vale a dire la lista del PD, quella unica di centrodestra e quella del M5S - mentre resterebbero fuori dai giochi le uniche due forze politiche di centro (NCD) e di sinistra (SEL o altra formazione di radicale) con voti sufficienti per superare la soglia del 3% a livello nazionale. Ebbene le tre liste maggiori, in grado di raggiungere agevolmente in quasi tutti i collegi la soglia minima del 15-17% , non potranno in ogni caso incassare un bottino di capilista bloccati superiore a 100 l’una, per un totale di 300 seggi complessivi, vale a dire il 47,6% dei 630 eletti in palio a Montecitorio. I restanti 330 seggi verrebbe spartiti tra i capolista bloccati dei partiti minori (40-60 circa) e la quota di deputati designati con le preferenze all’interno delle tre liste maggiori, vale a dire tra 270-290 seggi. Come si vede la percentuale dei “preferenziati” oscillerebbe tra il 43 e 46% circa.

Lo scenario elettorale alternativo, anche se meno probabile, vede NCD e SEL decidere di tornare all’ovile, ovvero di aggregarsi alla lista unica di centrodestra e centrosinistra. In questa eventualità la percentuale di eletti con le preferenze sarebbe destinata ad un ulteriore incremento, arrivando fino a quota 330 deputati ovvero il 52,4%.

Ma c’è di più. Uno dei punti deboli dell’Italicum, oggetto di fondate critiche, è la possibilità che il capolista si presenti contemporaneamente in una decina di collegi. Questa opzione ha però  un curioso effetto collaterale contro-intuitivo, proprio a sfavore dei nominati: i paladini delle preferenze non hanno considerato che se un capolista viene eletto in più collegi dovrà esercitare l’opzione per uno solo di essi e quindi il seggio “vacante” verrà assegnato automaticamente al primo dei non eletti con le preferenze. Quindi la pluricandidatura dei capolista bloccati, lungi dal rafforzare il potere di scelta dei nominati da parte dei vertici, potrebbe invece favorire paradossalmente l’elezione di altri “preferenziati” rispetto alla quota teorica di 330 o 270-290.

Infine bisogna tenere conto del fatto che il maggior numero di preferenziati verranno assegnati alla lista nazionale che si aggiudicherà il premio di maggioranza, al primo turno o al ballottaggio; infatti anche con percentuali di voto sufficienti per acciuffare il premio il numero dei capilista bloccati rimane comunque fermo a quota 100, cioè meno di 1/3 del maggioranza garantita dal premio; di conseguenza i restanti 2/3 e più dovranno essere pescati nella quota di eletti con le preferenze. Specularmente i nominati prevarranno di gran lunga nei partiti usciti sconfitti dalle urne. Il che potrebbe non essere uno svantaggio, poiché sarebbe un disincentivo per il cambio di casacca tipico dei trasformismo politico del belpaese. Inoltre l’eventuale passaggio dallo schieramento di minoranza a quello di maggioranza, oltre ad essere superfluo per via dell’ampia numero di seggi conseguito dal vincitore, significherebbe automaticamente l’esclusione dalla ricandidatura del parlamentare eletto come capolista bloccato.

Come si può constatare l’assetto dell’Italiucm 2.0, licenziato a fine gennaio dal senato, rappresenta un buon equilibrio tra capilista bloccati e designati con le preferenze, incomparabile rispetto alla prima versione della riforma elettorale.

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