giovedì 26 novembre 2015

Italicum, referendum e spinte gentili


Sono passati pochi mesi dall’approvazione della nuova elettorale, dopo quasi un decennio di discussioni e trattative, e già si pensa a mandarla in pensione o meglio a soffocarla in culla, cioè prima che possa muovere i primi passi e dimostrare “sul campo” la sua efficacia. Il fronte dei fautori di una contro-riforma ancor prima che la riforma entri in vigore è variegato: il primo tentativo di “sabotaggio” dell’Italicum è venuto dal movimento Possibile dell’ex deputato PD Pippo Civati, ma la raccolta estiva di firme per il referendum abrogativo non è andata a buon fine.
A distanza di un mese riparte la campagna anti-Italicum, questa volta promossa dal Coordinamento Democrazia Costituzionale, capitanato dal padre del rinvio alla consulta del Porcellum, con due obiettivi:  da un lato avviare un ricorso presso una ventina di tribunali ordinarie per ottenere il pronunciamento della Consulta, atteso nel prossimo mese di febbraio, e dall’altro raccogliere contestualmente le firme per indire un referendum abrogativo dei due punti cardine dell’Italicum, ovvero il premio di maggioranza e l’elezione dei capolisti bloccati (http://www.huffingtonpost.it/2015/10/29/riforme-italicum-_n_8420112.html).

Le argomentazioni a sostegno dei ricorsi contro l'Italicum, ovvero la paventata attribuzione della maggioranza dei seggi ad una forza politica con consensi anche inferiori al 20% dei voti validi al primo turno, appaiono abbastanza fragili. Prima di tutto perché nella sentenza di bocciatura del Porcellum non viene preso in considerazione il problema degli scarsi consensi elettorali al primo turno; al contrario in una mezza dozzina di passaggi la Consulta ribadisce la necessità di stabilire prima di tutto una ragionevole soglia minima per poter attribuire il premio di maggioranza, che viceversa con il Porcellum poteva essere teoricamente assegnato anche ad un partito con una percentuale inferiore del 20% dei consensi raggranellati nell’unico turno di voto. In secondo luogo, in caso di mancato superamento della soglia, è giocoforza andare al ballottaggio per la designazione maggioritaria del vincitore, essendo solo due i contendenti rimasti in lizza indipendentemente dalla percentuale di consensi raccolta al primo turno.

La convocazione del corpo elettorale al secondo turno di voto garantisce una piena legittimazione democratica, testimoniata dal superamento del 50% dei consensi espressi dai cittadini nell’urna; esattamente come avviene nelle elezioni comunali, da una ventina d’anni, senza che nessuno se ne scandalizzi o invochi la scure della Consulta. Anzi nel sistema elettorale a turno unico in vigore in molte regioni e nei piccoli comuni, è la regola che una lista di maggioranza relativa, anche di poco superiore al 20%, possa aggiudicarsi la maggioranza degli eletti nel consiglio in una sola tornata elettorale come è accaduto nelle recenti elezioni Liguri, senza che sia stato sollevato un quesito di incostituzionalità.

Va da sé che il secondo turno è una votazione in piena regola, a se stante e non una brutta copia o una replica del primo: come ha osservato il costituzionalista Ceccanti non si possono mescolare le pere con le mele. Nel passaggio dal primo al secondo turno cambiano le regole del gioco democratico, la posta in palio, i parametri di valutazione dei consensi, l’offerta elettorale e conseguentemente anche le considerazioni in base alle quali l’elettore esprimerà la seconda opzione nell’urna: dal primo turno emerge un voto di rappresentanza e di affinità mentre l’esito del ballottaggio esprime un mandato a governare.

Ciò che distingue il ballottaggio rispetto al primo turno è la diversa architettura di scelta, che rientra a ben diritto nel cosiddetto paternalismo libertario, vale a dire il filone di studi e sperimentazioni della cosiddetta nudge economy, finalizzati a promuove i comportamenti virtuosi dei cittadini nelle scelte economiche e sociali che li riguardano, tramite le cosiddette “spinte gentili”. Gli elettori dell’area politica esclusa al primo turno vengono “spinti” a scegliere una delle tre opzioni decisionali:  (a) disertare le urne del ballottaggio,  (b) scegliere tra i due contendenti in base al male minore, ovvero il  partito meno peggio, ed infine (c) votare “per ripicca” uno dei due per punire l’altro.

Le due tornate di voto non sono quindi sovrapponibili o intercambiabili, come presuppongono i ricorrenti anti-italicum quando paventano il rischio che un piccolo partito possa aggiudicarsi tutta la posta. Evenienza che era invece la regola con il turno unico del Porcellum, tanto da decretarne l’incostituzionalità per la mancanza della ribadita ragionevole soglia minima per l’attribuzione del premio; grazie all’impostazione disproporzionale del Porcellum le elezioni del 2013 hanno attribuito la maggioranza assoluta dei seggi al centrosinistra pur avendo incassato un percentuale di voti poco superiore al 25%. Ma è grazie all’imposizione della soglia minima per il premio di maggioranza che la Consulta ha posto rimedio alla macroscopica stortura del Porcellum.

E’ significativo che nella sentenza di bocciatura del Porcellum non si prenda in considerazione l’argomento sollevato dai ricorrenti, proprio perché una volta stabilità la ragionevole soglia per far scattare il premio il rischio evocato dal Coordinamento Democrazia Costituzionale viene superato in modo radicale con il secondo ricorso alle urne. Se mai è la percentuale del 40% introdotta dall’Italicum per l’attribuzione del premio di maggioranza a destare qualche perplessità in rapporto a quell’aggettivo - ragionevole – più volte utilizzato nelle motivazioni della sentenza di bocciatura del Porcellum per stigmatizzare l’assenza della fatidica soglia. Peraltro già il metodo proporzionale della prima repubblica attribuiva, per il sistema di attribuzione dei seggi sulla base dei resti, un limitato premio del 3-4% al partito di maggioranza relativa in caso di consensi vicini al 40%. Tuttavia il “bonus” dell’Italicum, teoricamente anche vicino al 15%, potrebbe essere considerato poco ragionevole dalla Consulta perché distorsivo della “piena rappresentatività dell’assemblea elettiva”.

Conclusione. Nel primo turno viene espresso un voto specifico per una comunanza di opinione/interessi tra elettore ed eletto, che nel contempo garantisce la più ampia rappresentatività democratica dell’elettorato. La bassa affluenza alle urne delle ultime votazioni e la mobilità dell’elettorato dimostra che il legame di “affiliazione” o di semplice “fidelizzazione” del cittadino verso il partito di riferimento è venuto meno, nonostante il rinnovamento dell’offerta elettorale espresso dal sistema partitico negli ultimi decenni. Il secondo turno invece propone una diversa cornice decisionale ed un salto qualitativo nella posta in gioco, vale a dire la designazione di una maggioranza di governo coesa ed univoca in virtù dell’inedito sistema maggioritario su scala nazionale. Il salto di qualità dell’esito elettorale, dovuto alla doppia opzione di voto, fa la differenza rispetto al Porcellum, ai precedenti sistemi elettorali e rappresenta la vera novità dell’Italicum, che evidentemente entra in conflitto con una molteplicità di interessi avversi a tale prospettiva; grazie al doppio turno la nuova legge elettorale è potenzialmente in grado di imprimere una svolta epocale al nostro sistema politico, all’insegna di una chiara alternanza di governo, della semplificazione del quadro politico in senso bipolare e della designazione di una stabile e solida maggioranza di governo da parte dell’elettorato. dare al turno di ballottaggio in cui gli elettori daranno con un secondo voto questa volta in modo maggioritario, attribuendo ad uno dei due contendenti la vittoria assoluta indipendentemente dalla % di consensi raccolta al primo turno, ovvero con una piena legittimazione democratica testimoniata dal passaggio da una percentuale anche inferiore al 20% al superamento del 50% dei voti del ballottaggio, esattamente come avviene nelle elezioni comunali.

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