domenica 30 dicembre 2018

Attenzione alla cornice: in politica vince chi impone la sua!

In politica per vincere le lezioni bisogna proporre soluzioni semplici e comprensibili rispetto ai problemi percepiti dagli elettori; è quindi importante intercettare ed interpretare gli umori prevalenti e i bisogni prioritari della gente ma soprattutto, nella comunicazione di massa, costruire la cornice cognitiva ed emotiva che consente di far passare la propria impostazione spiazzando gli avversari. Nei termini tecnici della linguistica cognitiva si tratta di imporre un frame, vale a dire la cornice concettuale che impone i temi della propria agenda elettorale a cui segue quasi in automatico la propaganda delle soluzioni "vincenti".

Non pensare all’elefante! Il linguista George Lakoff utilizza questa slogan per dimostrare ai propri studenti quanto sia difficoltoso uscire da un frame una volta che sia stato enunciato e soprattutto, nella sfera pubblica, reiterato da un soggetto politico tramite i media fino a monopolizzare il dibattito pubblico (https://www.linkiesta.it/it/blog-post/2011/11/06/caro-bersani-non-pensare-allelefante/2691/ ). Chi riesce a far passare il frame più adatto per rispondere ai bisogni indotti dalla stessa propaganda cattura anche il consenso, specie emotivo, e trova strada spianata verso la vittoria elettorale, ancor più se gli avversari non riescono a contrastare con una propria cornice le parole d’ordine degli antagonisti. E’ quello che è successo nelle elezioni politiche del 2018, vinte dai partiti che hanno saputo imporre i propri slogan/frame, soprattutto in due sfere: la crisi economica e quella migratoria.

L'errore controproducente della sinistra, in fatto di subordinazione alla cornice cognitiva proposta dagli avversari, è stata l'accettazione acritica del frame della sicurezza. Nel momento in cui si impone la centralità nel dibattito pubblico e nelle scelte programmatiche dell'idea della sicurezza, automaticamente la gente si sente insicura, aumenta la percezione di incertezza e di vulnerabilità; appena si esce per strada ci si guarda attorno per assicurarsi che non ci siano "malintenzionati" o situazioni potenzialmente sensibili e aumentano di diffidenza e sospettosità a scapito della fiducia e delle relazioni sociali. Non è un caso che il terrorismo abbia come principale obiettivo la diffusione della paura e dell’insicurezza come cavallo di Troia per mettere in crisi i valori della liberal-democrazia occidentale e aizzare una risposta in stile guerra di civiltà e di religione.

L’altra faccia della percezione di una insicurezza diffusa, alimentata indirettamente dall’ossessione per la sicurezza, è il concetto di rischio che si applica ormai ad ogni situazione: come non si da il rischio zero va da se che non esiste una sicurezza assoluta, e quindi nemmeno una tutela/controllo dall’insicurezza da parte di qualcuno, come invece si vorrebbe fare credere (https://www.linkiesta.it/it/article/2018/02/14/i-crimini-sono-in-calo-ma-ce-chi-specula-sul-senso-di-insicurezza-degl/37123/ ) Rischio e insicurezza hanno una connotazione prettamente di pancia/pelle e soggettiva e, una volta fissato questo ancoraggio emotivo, le motivazioni razionali, a partire dai dati statistici, sono automaticamente fuori gioco, squalificati nella comunicazione pubblica, come puntualmente è successo. Accettando il frame della sicurezza si è implicitamente rinunciato ad un esame di realtà non necessariamente basato sul “percepito” soggettivo, su ansie artatamente amplificate che fanno leva sull'insicurezza ontologica degli umani, ma sul confronto dialettico tra realtà e sua rappresentazione, tra fatti e “sensazioni”.

Da questa paura di sfondo, alimentata dai media enfatizzando fatti di cronaca "nera" che hanno come protagonisti gli "stranieri", nasce la richiesta di maggiore sicurezza, possibilmente eliminando la fonte prima dell'insicurezza ovvero il diverso, lo straniero, il deviante etc.., anche a costo di barattare qualche diritto in cambio di maggiore protezione sicuritaria ( https://www.lettera43.it/it/articoli/societa/2018/06/22/sicurezza-italia-piercamillo-davigo-carcere-dati-istat-percezione-criminalita-omicidi/221308/ ). Storicamente regimi autoritari in nome della sicurezza hanno via via ridotto e abolito le libertà civile, in particolare quando si paventava un’invasione da parte di nemici esterni o sovversivi interni, come accade ai nostri giorni in Ungheria. Ecco quindi che l’ “invasione” migratoria e il pericolo dei clandestini si salda con la manipolazione della richiesta di sicurezza.

Non importa che la sicurezza totale, come il rischio zero, sia un’illusione, perché lo stato deriva la sua legittimità e la politica il consenso facendo leva sul bisogno di tutela verso l’insicurezza, l’incertezza, la paura. Non conta se le statistiche smentiscono lo scenario di insicurezza diffusa e pervasiva, con le dovute eccezioni delle grandi aree metropolitane e delle periferie degradate, perchè ormai la "percezione" soggettiva è già stata orientata in una certa direzione e guai ad andare controcorrente cercando di portare qualche dato che possa incrinare la percezione ( https://www.ilpost.it/2017/08/16/numero-percezione-reati/ ). Sulle contro-argomentazioni l’autocensura da parte della sinistra è stata l'inevitabile conseguenza della subordinazione culturale al frame degli avversari. Una volta che si accetta passivamente la centralità della sicurezza, come ha fatto il PD e in specie l'ex ministro dell'interno, si rimane imprigionati nella dimensione "sicuritaria", a base di tolleranza zero, espulsioni e ricerca di colpevoli/capri espiatori, come soluzione semplice ed immediata per problemi tremendamente complessi e intricati.

Non importa se esiste una macro criminalità organizzata mafiosa, che tiene in ostaggio 5 regioni ed affama il "popolo" del sud, 1000 volte più pericolosa e pervasiva della microcriminalità di strada, che peraltro colpisce i più deboli e indifesi! Riguardo alle mafie la percezione di insicurezza non funziona e quindi non è nemmeno un problema perchè restano tanto invisibili quanto diffuse, grazie alla loro capacità di mimetizzarsi nel contesto sociale, culturale per ottenere consenso. Tantè che sono proprio le mafie, in certi contesti, ad offrire una protezione alternativa a quella dello stato. 

Bisognava avere il coraggio di sottrarsi al frame della sicurezza, smontandolo in ogni occasione pubblica, per proporne uno alternativo, ovvero quello che fa riferimento alla "legalità" e al rispetto delle regole di convivenza civile. Non è lo stato sociale il principale garante della sicurezza e della tutela dei cittadini, tant'è che nel recente passato era la "sicurezza sociale" a proteggere i cittadini? Non è forse la criminalità mafiosa che strangola l’economia meridionale ed inquina il mercato, una fonte di malessere sociale diffuso e di insicurezza economica, a differenza di quanto accade in altre regioni? Non è l’evasione fiscale e la predazione dei beni comuni che, sottraendo risorse ai servizi pubblici e al welfare, dalla scuola alla polizia, dalla sanità alla giustizia, contribuisce a minare la sicurezza, la solidarietà e tutela sociale? Ma ormai la frittata è fatta....

P.S. Il presidente Mattarella nel discorso di fine hanno ha affermato: “La vera sicurezza si realizza, con efficacia, preservando e garantendo i valori positivi della convivenza. Sicurezza è anche lavoro, istruzione, più equa distribuzione delle opportunità per i giovani, attenzione per gli anziani, serenità per i pensionati dopo una vita di lavoro: tutto questo si realizza più facilmente superando i conflitti e sostenendosi l’un l’altro”.

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