Quello del PD è forse il congresso nazionale di partito più
tormentato della storia recente. Da settimane si rincorrono notizie e voci su
moltiplicazione di tessere, congressi di circolo fantasma, dubbi sulle
procedure di votazione un po' in tutta Italia, sia sui giornali che sul Web. La
degenerazione delle preferenze in strumento clientelare per lo scambio di
"favori" è ben nota ed è un tratto caratteristico del nostro sistema
politico, oggetto di un referendum popolare che venti anni fa decretò il
pensionamento definitivo delle preferenze. Tuttavia assume contorni deprimenti
quando, nella fattispecie, investe un partito che si proclama paladino della
legalità, del rispetto delle regole, trasparenza e lealtà.
Questi episodi di supposta mala-politica ripropongono il
dilemma tra liste bloccate, principale mezzo per far eleggere yes-man e
personaggi fedeli alla linea del capo, e voto di preferenza che comporta il
rischio di manipolazione del consenso ad uso clientelare, nepotistico,
campanilistico per distribuire favori, posti, prebende etc.. (per non dire di
peggio!). Come può una (buona) legge elettorale indirizzare la navigazione
politica per vitare di incappare negli scogli di Scilla (le preferenze)
piuttosto che Cariddi (le liste bloccate)?
Il tema è di stretta attualità per via della riforma del Porcellum
di cui si discute al senato con procedura d’urgenza da due mesi, senza
significativi passi in avanti. Le preferenze sono lo strumento principe della
politica clientelare e del voto di scambio, come dimostrano le percentuali
espresse dagli elettori nelle regioni a maggiore rischio di infiltrazione della politica da parte di forze “esterne”.
C’è chi dice che il sistema maggioritario uninominale sia l’antidoto giusto per
questo rischio, ma i dubbi in merito sono più che legittimi per via dell’inevitabile
deriva personalistica della campagna elettorale. Di sicuro il sistema
proporzionale abbinato alle preferenze ha dimostrato storicamente di essere il
migliore incubatore per i fenomeni degenerativi di cui sopra.
Forse una soluzione si può trovare, partendo dall’analisi del
fenomeno. La variabile essenziale per controllare le preferenze e manipolare l’esito
del voto con tecniche clientelari è la dimensione del bacino elettorale. Quanto
più è limitata l’area geografica che elegge un rappresentante tanto più facile
sarà pilotare le preferenze su un certo candidato, a scapito di altri, facendo
leva sul controllo della rete sociale di supporto del politico locale. All’opposto
in un macro-collegio avranno buon gioco candidati noti alla popolazione per la
loro popolarità o notorietà pubblica e avranno un ruolo preponderante i mezzi
di comunicazione di massa, in primis la TV e in subordine radio e carta
stampata. Se questa gerarchia è corretta l’ulteriore allargamento della platea
degli elettori dovrebbe ridurre, in proporzione delle dimensioni del collegio
elettorale, le influenze micro-sociali, più a rischio di degenerazione
clientelare, a vantaggio di strumenti per influenzare gli elettori più
impersonali, come i media della comunicazione pubblica di massa.
Con il sistema delle macro-circoscrizioni regionali si
potrebbero quindi evitare sia le derive clientelari localistico/campanilistiche,
tipiche dei sistemi proporzionali con voto di preferenza, sia la
personalizzazione caratteristica del collegio uninominale maggioritario. Se
infine dovesse passare, secondo la bozza Violante-D’Alimonte, il doppio turno
per l’attribuzione del premio di maggioranza a livello nazionale, con l’ipotesi
di preferenze su una lista di personalità note per rilievo pubblico e sociale,
l’eventualità di un voto clientelare si ridurrebbe ulteriormente. Gli elettori
potrebbero scegliere direttamente sia il primo ministro sia la composizione del
governo, utilizzando la doppia preferenza di genere ed annullando di
conseguenza le negoziazioni post-elettorali tra le burocrazie per la distribuzione
dei posti di potere, nonchè il rischio di degenerazione clientelare a livello di micro
collegi locali.
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