Si dice che il capolista bloccato deve la propria elezione
al capo partito e quindi dovrà seguire fedelmente le sue indicazioni per
riconoscenza, pena il rischio di non essere ricandidato alle successive
elezioni. Se quindi il parlamentare nominato è più affidabile e ligio ai voleri
del proprio gruppo dirigente il fatto che la legge ne preveda di meno potrebbe
avere due conseguenze: ridurre la coesione della maggioranza di governo, visto
che gli eletti con le preferenze forti del proprio pacchetto di voti sono più
liberi da vincoli di partito, mentre per l’opposizione la minore fedeltà verso
il capo potrebbe incentivare il tipico trasformismo dei nostri politici, sempre
pronti a trasmigrare per convenienza da un gruppo parlamentare all’altro. In
entrambi i casi un minore numero di “nominati” a favore dei “preferenziati”
potrebbe portare a maggiore instabilità in entrambi gli schieramenti.
Per quanto riguarda I’apparentamento i partiti minori si
potrebbero tranquillamente aggregare fin dal I° turno elettorale in una lista
unica nazionale, com’è accaduto più volte in passato. E’ questo l'esito più probabile per quanto
riguarda il centrodestra, una volta defenestrato il cavaliere, proprio per
avere la sicurezza di accedere al II° turno superando il M5S. L’aggregazione al
primo turno in un’alleanza allargata a più formazioni politiche è tuttavia
sempre a rischio di disgregazione, specie in caso di sconfitta elettorale, come
è accaduto alle ultime elezioni con l’immediata separazione, all’indomani del
voto, tra PD e SEL al momento dell’insediamento del governo di larghe intese. Se
invece i partiti minori avessero la possibilità di apparentarsi al ballottaggio
certamente farebbero pesare il loro contributo elettorale dopo la prima tornata, facendo leva sulla tradizionale arma di "ricatto" del
pacchetto di voti indispensabile per conquistare la maggioranza al ballottaggio!
Si riproporrebbero di fatto, le trattative tra le varie forze politiche, per la
distribuzione di posti di governo e di sotto-governo, con la sequela di veti
incrociati, mercanteggiamenti, do ut des, manuali Cencelli e piccoli ricatti
pur di ottenere il massimo di visibilità e di potere per le formazioni minori,
indispensabili per la vittoria della coalizione al turno di ballottaggio.
Insomma a decidere sarebbero per l’ennesima volta le burocrazie dei
partiti in stile prima Repubblica, nei i loro conciliaboli spartitori, e non gli elettori con il loro voto
a favore di uno dei due contendenti al II° turno, elemento chiave dell’Italicum
ed obiettivo storico del centrosinistra, per decenni respinto da tutte le altre
forze politiche. Un film già visto e rivisto negli ultimi decenni, a partire
dai governi di centrosinistra degli anni settanta e fino al disastroso esempio
dell’ammucchiata di partiti a sostegno del II° governo Prodi, che proprio la
logica del doppio turno per l’alternanza vorrebbe superare definitivamente.
Il combinato disposto delle due modifiche all’Italicum
avrebbe come effetto il depotenziamento della governabilità e della chiarezza
della doppia scelta elettorale, senza mettere al riparo il sistema politico dai
paventati rischi per la democrazia, in primo luogo correlati all’elezione di
secondo livello del Senato. E’ sulla riforma istituzionale che le varie
opposizioni, interne ed esterne al PD, dovrebbero concentrare gli sforzi di
modifica e miglioramento, ad esempio innalzando tutte le percentuali per
l’elezione degli organi di garanzia sul modello della soglia del 60% per
l’elezione del presidente della Repubblica.