La tormentata vicenda parlamentare della riforma della legge
elettorale, il cosiddetto Porcellum, è l’emblema e l’epifenomeno della
decadenza dell’idea di bene comune per il prevalere degli interessi di parte sugli
interessi generali, che paralizza l’Italia da una ventina d’anni in un
ginepraio di veti incrociati, rinvii, contrapposizioni ed interdizioni
reciproche.
Per anni attorno alla revisione della legge elettorale si sono scontrati, sotto traccia o in modo occulto, gli interessi particolari e le convenienze contingenti delle diverse fazioni politiche, nel tentativo di piegare a proprio beneficio le regole elettorali e a scapito dei principi che dovrebbero ispirare un buon sistema elettorale: garanzia di alternanza al potere per il fisiologico ricambio della classe politica, promozione del bipolarismo, esplicita designazione di una maggioranza parlamentare coesa e per un governo stabile, possibilità di scelta degli eletti da parte degli elettori.
Per anni attorno alla revisione della legge elettorale si sono scontrati, sotto traccia o in modo occulto, gli interessi particolari e le convenienze contingenti delle diverse fazioni politiche, nel tentativo di piegare a proprio beneficio le regole elettorali e a scapito dei principi che dovrebbero ispirare un buon sistema elettorale: garanzia di alternanza al potere per il fisiologico ricambio della classe politica, promozione del bipolarismo, esplicita designazione di una maggioranza parlamentare coesa e per un governo stabile, possibilità di scelta degli eletti da parte degli elettori.
Alla fine ci ha pensato al Corte Costituzionale a sciogliere
il nodo gordiano che il Parlamento per anni non ha saputo o voluto dirimere. Le
motivazioni della sentenza con cui la suprema corte ha cancellato l’abnorme
premio di maggioranza della legge vigente, che ha partorito la mostruorità
antidemocratica delle ultime elezioni, chiariranno in quale direzione si può
muovere la politica italiana. Ora la palla passa al parlamento dove perdurano
le divisioni tra i fautori delle diverse opzioni di riforma, che interessano
trasversalmente i singoli partiti e provocano anche un’inedito rimpallo della
questione tra camera e senato.
A ben vedere tuttavia ne’ l’eliminazione delle liste
bloccate, con la conseguente re-introduzione delle preferenze, ne’ la
bocciatura dell’abnorme premio di maggioranza, con il ritorno del proporzionale
o l’introduzione di una soglia minima, portano a soluzione definitiva il rebus
elettorale e politico italiano. Si tratta di elementi collaterali, certamente
rilevanti, ma non dirimenti e tanto meno risolutivi per uscire dall’impasse.
Le indicazioni della Corte Costutizionale sono per forza di
cose in negativo e, proprio per questo, rischiano di alimentare la fallace alternativa
tra sistema maggioritario e soluzioni proporzionali. Parafrasando un celebre
motto l'uno (proporzionale) o l'altro (maggioritario) pari sono; ciò che conta non è tanto il modello di
designazione degli eletti, ma il processo di doppia selezione della rappresentanza
da parte dei cittadini, magari pure arricchita dalle preferenze. L'importante è
che la legge elettorale ridia agli elettori la facoltà di scelta sia di una
chiara maggioranza di governo, sottraendola alle trattative post-elettorali di
palazzo, sia degli eletti, fino ad ora designati a priori dalle segreterie di
partito con le liste bloccate.
A questo obiettivo possono concorrere solo i due
turni elettorali, specie nell’attuale assetto tri-polare e pur in presenza
di differenze non irrilevanti tra le due formule. Ad ogni buon conto entrambi
possono concorrere, in modo sinergico per una sorta di divisione dei compiti, ad
un esito elettorale equilibrato, nel senso che la formula proporzionale può
garantire al primo turno il massimo della rappresentatività democratica, mentre
il maggioritario al secondo turno è il migliore presidio per una salda
governabilità e per una alternanza di schieramenti.
Questi principi generali possono valere anche nel caso che
si decida di rivedere le ultime due leggi elettorali. Da un lato basterebbe
introdurre nella parte proporzionale del Porcellum la soglia minima per il
premio di maggioranza e un eventuale secondo turno nel caso in cui nessun
partito la superasse, secondo il modello Violante-D’Alimonte. Dall’altro si
potrebbe conservare l’impianto uninominale maggioritario a turno unico del
Mattarellum a condizione di trasformare il 25% di seggi proporzionali in quota
di “governabilita’” su due turni, che porti alla designazione di una chiara
maggioranza parlamentare.
E' una questione di gioco somma zero tra cittadini e i loro
rappresentanti. Se i cittadini possono esprimere la propria preferenza politica
in un’unico turno - sia maggioritario che proporzionale – delegano
automaticamente la composizione del governo alle segreterie di partito, che
tenderanno a vedersela tra di loro con inevitabili rischi consociativi,
compromissori o sbocchi tipo larghe intese. Se invece gli elettori hanno due
opzioni di scelta su due turni elettorali allora possono davvero "comandare"
il gioco, senza deleghe in bianco alla politica, riappropriandosi della
possibilità di selezionare un chiaro vincitore e nel contempo licenziare con la
doppia scheda governanti incapaci, corrotti o solo inadatti. E’ in gioco la restituzione
del potere decisionale ai cittadini, che la politica ha in questi anni avocato
a se in modo autoreferenziale, con i risultati che abbiamo quotidianamente sotto
gli occhi.
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