martedì 2 ottobre 2018

Dal reddito di cittadinanza alla mini pensione sociale anticipata

Questa storia del reddito di cittadinanza è proprio un rebus. Proviamo a descriverne i termini schematicamente:
La tecnologia si mangia posti di lavoro creando disoccupazione ed emarginazione e quindi prima o poi un sostegno al reddito degli esclusi, anche per alimentare la domanda interna, si dovrà in qualche modo introdurre come accade nel resto d’Europa (tesi di Travaglio, condivisibile anche se il ruolo della tecnologia è più accentuato dove l'industria è più radicata e presente e non certo dove la disoccupazione giovanile è più elevata, ovvero al sud).
Dalla quota 100 per la pensione c'è poco da sperare, perchè una buona parte dei pensionati non verrà sostituita per ridurre i costi delle imprese o verrà sostituita da un robot.
D'altra parte anche gli incentivi per investimenti ed innovazione hanno prodotto pochi posti di lavoro, sempre a causa della tecnologia e dell'automazione che espelle il lavoro umano.
In questo panorama di scarsità di lavoro il reddito di cittadinanza propone ai non occupati formazione, lavori socialmente utili (LSU) e soprattutto ben tre offerte di posti di lavoro, una delle quali da non rifiutare, pena la decadenza del reddito di cittadinanza. Formazione per quali lavori se non ce n’è richiesta o quelli richiesti sono poco appetibili o prevalentemente in nero, come le badanti?
Ma dove si potrà mai trovare questa tripla proposta ad personam se i posti di lavoro sono in progressivo assottigliamento per i motivi di cui sopra, specie nelle zone dove più della metà dei giovani ne sono alla perenne ricerca e molti di costoro sono ormai scoraggiati e cronicamente inattivi?
Guarda caso la domanda di reddito arriva proprio dalle regioni con la più alta percentuale di disoccupati e di consensi per il M5S. Per quale tipologia occupazionale verrà fatta la formazione se manca la relativa domanda? Come si potranno creare posti di lavoro in sovrabbondanza proprio nelle zone cronicamente depresse, quando non ci si è riusciti negli ultimi 40 anni con abbondanti investimenti pubblici, ed in numero tale da proporre alla massa di disoccupati locali la terna di occasioni prevista dal reddito di cittadinanza?
La formula delle tre offerte di lavoro probabilmente funziona in zone di piena occupazione o quasi, dove il mercato del lavoro è diversificato e vivace, dove le aziende sono proiettate verso i mercati esteri e dove vi è turn-over di imprese per la nascita di nuove che riempiono il vuoto di quelle che chiudono e "producono" disoccupati temporanei. Ma nelle zone depresse e con economia stagnante, magari perchè oppressa dalla morsa della criminalità organizzata, dove si troveranno tutte le proposte di lavoro previste dal reddito di cittadinanza?
E' probabile che ben pochi inoccupati riceveranno un'ampia gamma di offerte e quindi alla scadenza dei tre anni quelli che resteranno per forza di cose fuori dal mercato del lavoro continueranno a percepire il reddito già ricevuto, pena un contraccolpo micidiale sul consenso politico verso i promotori del reddito stesso. Alla fine resterà solo lo sbocco dei LSU, come è accaduto in Sicilia che di proroga in proroga sono diventati di fatto delle assunzioni mascherate nel pubblico impiego, a metà strada tra i mini job tedeschi e l'anticipo di una mini pensione “sociale”, con ulteriore appesantimento per le casse pubbliche.
La terna di proposte non rifiutabili a me sembra improbabile e un'inutile ipocrisia, specie in un panorama industrialmente depresso; tanto vale dare ad libitum e senza alcuna condizione il sussidio di inoccupazione perenne, di chiara matrice assistenzialistica, per tutti gli inoccupati e senza improbabili e irrealizzabili condizioni foglia di fico.

mercoledì 21 dicembre 2016

Domande e risposte sul Mattarellum

Il dibattito sulla riforma della riforma elettorale si è riacceso dopo la proposta renziana di neo-Mattarellum, che vede la pregiudiziale opposizione dei proporzionalisti sparsi nei vari partiti, ma annidati soprattutto in Forza Italia e tra i centristi. A fine 2016 Repubblica ha pubblicato una simulazione dell'esito del Mattarellum, sulla base dei risultati del 2013, che dimostra due cose ovvie: che solo con il 40% dei consensi un partito avrebbe la maggioranza assoluta - esattamente la soglia per il premio di maggioranza dell'Italicum - mentre un risultato elettorale analogo a quello del 2013 produrrebbe solo ingovernabilità e la necessità di una grande e innaturale alleanza tra PD e FI+centristi. Ecco comunque qualche domanda sugli effetti dell'eventuale re-introduzione del neo-Mattarellum, magari riveduto e corretto con un premio di (presunta) governabilità per il vincitore.

1-che differenza c'è tra il capolista bloccato dell'Italicum e il candidato del collegio uninominale?

Non esiste sostanziale differenza tra il capolista bloccato dell'Italicum e il candidato "bloccato" del collegio uninominale, perchè la scelta è in entrambi i casi già stata fatta e all'elettore non resta che prendere o lasciare. O meglio una differenza esiste ed è quantitativa: i capilisti bloccati dell'Italicum sono "solo" 100 mentre i "candidati bloccati" dell'uninominale sono ben 475; in pratica significa che il 75% dei seggi saranno occupati da gente decisa dalla segreteria del partito a fronte del 55% circa dell'Italicum (dato che il secondo eletto della lista proporzionale viene indicato dalle preferenze degli elettori). Insomma dalla padella dell'Italicum si finisce dritti dritti nella brace del Mattarellum e per giunta senza alcuna garanzia di governabilità. Bel risultato, non c'è che dire.

2-che possibilità di scelta ha l'elettore dell'uninominale, visto che si troverà sulla lista un solo candidato per ogni partito, alla faccia della sbandierata facoltà di scelta dell'elettore?

La possibilità di scelta dell'elettore è nulla, se è già orientato a votare per un certo partito, e più ampia se incerto tra due o più partiti. Va da sè che il candidato dell'uninominale se vorrà attirare voti incerti su di sè dovrà utilizzare tutte le armi a sua disposizione, leggi offerte clientelari, campanilistiche, nepotistiche etc.. per non parlare del ricorso al voto di scambio!

3-chi sceglierà il personaggio da piazzare in ogni collegio?

Nei 475 collegi uninominali verranno collocati in ordine di preferenza: 1- i notabili nazionali capi-corrente paracadutati dal centro (collegi sicuri), 2- gli amministratori locali abbastanza noti e apprezzati sul territorio (collegi in bilico), 3- illustri sconosciuti o personaggi di seconda fila (collegi dati per persi in partenza). Nella stragrande maggioranza dei casi la scelta sarà fatta dall'alto, ovvero dalle segreterie nazionali o regionali, ovviamente con il bilancino del manuale Cencelli per la spartizione di posti tra le varie correnti/lobby/confraternite/logge etc.. All'elettore non resterà che prendere o lasciare l'unico candidato proposto, spesso turandosi il naso e gli occhi.

4-che maggioranza nazionale può emergere dal voto visto che il 75% dei seggi nei collegi uninominali saranno spartiti, più o meno equamente, tra i tre poli?

Il punto N. 4 è il più importante ai fini del risultato elettorale. Il prof. D'Alimonte con una simulazione di tre anni fa aveva già dimostrato che, sulla base dei voti delle politiche del 2013, il Mattarellum avrebbe dato come esito l'ingovernabilità. Va da se che, nell'attuale assetto tripolare ormai stabilizzato, il risultato di un'elezione politica con il neo-Mattarellum sarebbe anche peggiore.
http://cise.luiss.it/cise/2013/11/19/voto-col-mattarellum-niente-vincitori/

5-la personalizzazione del consenso elettorale su base territoriale non è a rischio di voto di scambio clientelare, campanilistico, localistico, nepotistico per non dire di peggio?

La risposta è implicita nei precedenti punti. Conclusione: il Mattarellum è un grande azzardo!                                            

martedì 20 dicembre 2016

Italicum proporzionale o Mattarellum pari sono...

Dopo la "batosta" referendaria è ripartito il gioco più gettonato nel circo mediatico degli addetti ai lavori della politica: la rottamazione dell'Italicum per far posto alla riforma della riforma mai applicata. Le opzioni rimaste in gioco sono due: l'eliminazione del ballottaggio dell'Italicum, con il conseguente ritorno al sistema proporzionale pur corretto con un limitato premio di governabilità alla coalizione, e la riedizione del Mattarellum, anch'esso modificato nella parte proporzionale per assegnare al vincitore un surplus di seggi in modo da facilitare il raggiungimento della maggioranza assoluta.

Entrambe le opzioni hanno come cardine la cancellazione del secondo turno elettorale, con l'intento dichiarato di evitare il confronto con i pentastellati al ballottaggio, i quali per bastian contrario hanno invece proposto l'estensione dell'Italicum al senato, in modo da prevenire la probabile manipolazione delle regole elettorali ai loro danni. Si può facilmente immaginare con quale veemenza verrà contrastata in parlamento la revisione della legge elettorale, ad opera di un PD indebolito ma in sintonia con una Forza Italia residuale; non sarà certo minore la foga propagandistica, all'insegna della legge truffa anti-grillina,  con cui verrà condotta la successiva campagna elettorale dai pentastellati.

Entrambe le soluzioni sono ad elevato rischio di generare una non maggioranza parlamentare e quindi di portare all'ennesima versione della grande coalizione tra PD e una parte del centrodestra. Vediamo in dettaglio i due possibili scenari post elettorali.

1.Il rilancio del Mattarellum non è certo una novità ed è l'unica alternativa praticabile rispetto il ritorno al proporzionale. Non serve la laurea in matematica per rendersi conto che in un assetto ormai stabilmente tripolare senza il premio di maggioranza, attribuito dagli elettori al vincitore con il consenso al secondo turno, è praticamente impossibile che uno dei tre contendenti conquisti una solida maggioranza in un'unica votazione. Specie se i seggi vengono attribuiti con in collegi uninominali, come in caso di Mattarellum 2.0, sebbene corretto con un premio alla coalizione nella quota proporzionale del 25%.

Infatti con il redivivo neo-Mattarellum si avrebbe una distribuzione a macchia di leopardo dei seggi sul territorio, che rispecchia le aree di maggiore radicamento storico dei vari partiti o coalizioni: centrodestra prevalente al nord-est, regioni centrali ed Emilia al centrosinistra, distribuzione disomogenea nelle altre regioni, con ampi consensi ai grillini nelle periferie delle metropoli e nella aree più disagiate. In pratica un nulla di fatto che obbligherebbe alla grande ed innaturale coalizione tra un rinato Cavaliere e un PD indebolito dall'esito referendario. A meno che, e sarebbe la prima volta da decenni, si verifichi una tale omogeneità di consensi su tutto territorio tale da premiare nettamente uno dei tre poli in modo maggioritario a scapito agli altri due in buona parte dei collegi .

2.La probabilità che un sistema proporzionale, come quello dell'Italicum riveduto e depurato dal ballottaggio, partorisca una solida maggioranza di governo grazie al "premietto" di governabilità e di coalizione sono ancor minori rispetto all'esito di votazioni in collegi uninominali maggioritari del Mattarellum 2.0. Infatti il sistema proporzionale fotografa in modo estremamente preciso i consensi acquisiti da contendenti e, in presenza di un tri-polarismo come quello attuale, una piccola differenza percentuale potrebbe garantire un buon vantaggio al vincitore, peraltro insufficiente per raggiungere una solida maggioranza parlamentare.

Un simile esito costringerebbe due dei tre partiti o alleanze elettorali ad un governo di grande coalizione per uscire dall'impasse, un po' come è accaduto in Spagna dopo la ripetizione delle elezioni a distanza di 6 mesi dalle prime votazioni. Poichè il M5S ha sempre rifiutato programmaticamente qualsiasi ipotesi di trattativa e men che meno accordi politici di governo con qualsisia altra forza politica, l'esito delle urne potrebbe essere ancora una volta una grande coalizione tra PD e centrodestra, qualsiasi sia il vincitore delle elezioni, ovvero anche in caso di vittoria dei pentastellati.

Insomma, la rinuncia ai due turni elettorali, come strumento elettivo per selezionare due dei tre poli da sottoporre al consenso maggioritario degli elettori del ballottaggio, rischia di condurre un paese disorientato e dilaniato da una frammentazione tripolare ormai consolidata sulla strada dell'instabilità, di una perdurante ingovernabilità e alla conseguente necessità di coalizioni di governo ambigue, litigiose, confuse e quindi irresponsabili.

venerdì 25 novembre 2016

Riforma del bicameralismo tra intenzioni e risultati

C'è una motivazione più profonda e radicale, rispetto alla riduzione dei tempi di approvazione delle leggi, per promuovere il superamento del bicameralismo paritario, nel segno della distinzione delle funzioni tra i due rami del potere legislativo; si tratta di motivazioni qualitative più che quantitative, di natura culturale, etica ed "epistemica" come suggerisce il pensiero di due grandi del novecento, Max Weber e Karl Popper. Il bicameralismo paritario nasce dal clima sociale e politico post-bellico, intriso di sospetti e di diffidenze reciproche tra le forze antifasciste uscite vincitrici dalla resistenza, ma con opposte visioni, tendenze politico-ideologiche e programmatiche: da un lato quel fronte popolare social-comunista che dopo la costituente avrebbe perso alle prime elezioni legilsative a vantaggio dello schieramento democratico-cristiano centrista.

Pur essendo di ispirazione ideologica e culturale contrastanti i due schieramenti condividevano l'idea che i rami del parlamento erano in grado di produrre, con il rimpallo dell'esame e il suo progressivo affinamento, la migliore legge a priori in relazione agli obiettivi pratici e alle opzioni ideali del legislatore. Inoltre la presenza di due assemblee parlamentari con diversa composizione anagrafica e rappresentava poteva costituire, specie per il fronte democristiano, una garanzia di vigilanza contro le paventate tendenze anti-democratiche dell'alleanza social-comunista, nel senso del bilanciamento, del controllo, dei pesi e contrappesi della tradizione anglosassone.

Come ha osservato lo storico Massimo L. Salvadori su La Repubblica del 25 novembre 2016 il testo costituzionale "fu il frutto del comune interesse a trovare in un sistema a basso tasso di governabilità del paese una reciproca assicurazione dato il vivo timore che i campi opposti nutrivano l'uno nei confronti dell'altro", individuando nel Senato lo "strumento di quella reciproca assicurazione e architrave per rallentare il processo legislativo mediante il ping-pong tra le due camere".

Il bicameralismo paritario post-bellico è figlio del clima culturale dell'epoca, pervaso da quella che il sociologo Max Weber ha definito l'etica delle intenzioni, a cui facevano riferimento, seppur da visioni antitetiche e contrapposte, i progetti socio-politici ed economici del social-comunismo e quelli della tradizione popolare liberal-democratica. Max Weber contrappone all'etica delle intenzioni quella dei risultati e della responsabilità, che si fonda sul controllo dell'effettivo conseguimento degli obiettivi perseguiti.

Il sociologo tedesco riteneva l'etica delle buone intenzioni a priori (spesso foriera di disastri, come recita l'aforisma marxiano: "la strada della perdizione è lastricata di buone intenzioni") meno efficace e "razionale" dell'etica delle responsabilità (laica e liberal-democratica) che persegue la verifica degli esiti pratici, cioè a posteriori e sul campo, in rapporto ai cambiamenti socioeconomici, culturali e tecno-scientifici.

All'impostazione etica weberiana si coniuga il pensiero sociale e politico di Karl Popper, che sottolinea il rischio potenziale di ogni riforma, ovvero di generare oltre a quelli previsti anche effetti inattesi, collaterali o addirittura contro-intuitivi. Poichè, secondo una ben nota formula, la società è il luogo in cui si manifestano gli effetti inintenzionali dell'azione umana intenzionale e deliberata. Gli uomini scontano i limiti e l'incompletezza della conoscenza delle condizioni date, a livello sociale, culturale, economico e del loro imprevedibile intreccio evolutivo, anche in presenza delle migliori intenzioni e talvolta al di là della stessa percezione e consapevolezza individuale o collettiva. Le intenzioni astratte e decontestualizzate non tengono conto dell'impatto e degli effetti "ecologici" che la legge sconta nella fase di applicazione pratica.

Quindi è meno razionale il proposito di elaborare, con grande dispendio di tempo nella convinzione di un improbabile precisione, una legge perfetta a priori, rispetto alla verifica empirica dei suoi effetti pratici a posteriori e della sua correzione se necessaria, nel momento in cui la riforma non abbia raggiunto gli obiettivi desiderati o fatto emergere effetti collaterali o imprevisti.  Due esempi emblematici di effetti inattesi sono quelli scaturiti dalle norme sui voucher per i lavori occasionali e l'imponente contenzioso legale tra stato e regioni sulla legislazione concorrente, introdotta con la riforma federalista del 2001. Da qui la preferenza culturale ed "epistemica" per il monocameralismo, fallibilista e a posteriori, cartina di tornasole della responsabilità politica e legislativa, al di la delle buone intenzioni programmatiche.

La  stessa Riforma Costituzionale andrà sottoposta a verifica empirica a distanza per via dell'intrinseca imprevedibilità dell'evoluzione socio-economica e per il carattere unico e irripetibile dei fenomeni storico-sociali. Non si tratta quindi di una riduttiva questione quantitativa, riguardo ai tempi di approvazione delle leggi, ma della qualità dei presupposti epistemici del monocameralismo, in quanto rappresenta un salto di qualità del processo legislativo - in senso fallibilista ed empirico, correlato all'etica della responsabilità e dei risultati - rispetto all'etica delle intenzioni orfana di verifica empirica.

domenica 13 novembre 2016

L'onda lunga della rabbia, il Referendum e la rottamazione dell'Italicum

Sulla diagnosi sembrano ormai d'accordo tutti i clinici chiamati al capezzale della Democrazia: l'onda impetuosa del rancore, della rabbia per la crisi e dell'odio per caste, élite ed establishment politici è il motore delle scelte radicali, populiste, xenofobe, di chiusura e di rottura un po' in tutto il mondo, che Trump ha saputo interpretare ed intercettare al meglio con la retorica dell'America di nuovo grande. La carta stampata e i sondaggisti invece non se ne sono minimamente accorti, perchè ormai ridotti enclave elitaria autoreferenziale separata dal mondo reale e dalla società, ovvero dalla rete principale veicolo degli umori di pancia e delle tendenze che covano nella società. Una drammatica scissione tra realtà e sua rappresentazione testimoniata emblematicamente dal gap tra sondaggi e risultato finale, tra mobilitazione dei media anti-Trump e il suo trionfo nelle urne.

Il risultato del referendum sarà la cartina di tornasole per capire i possibili esiti dell'iniziativa di revisione dell'italicum in funzione anti M5S portata avanti dalla minoranza PD, dagli esiti incerti e potenzialmente controproducenti proprio per i suoi sostenitori. Sui principi non si può giocare sporco e cambiare le regole solo per interesse diparte e a proprio uso e consumo, che invece è tradizione italica quando si tratta di regole elettorali: la gente capisce benissimo che stai barando, che sei scorretto e quindi ti punisce con maggior diletto. Ne è già stato fatto uno di "stai sereno" ma era tutto sommato interno e ad uso e consumo del PD; una mossa sleale come la revisione dell'italicum per il proprio esclusivo tornaconto elettorale, suggellato da una coalizione con Alfano e Verdini, per fare lo sgambetto agli altri, sarebbe esiziale. Lo so, è da ingenui pensare che lealtà in politica conti perlomeno quanto la spregiudicatezza ma, come soleva dire l'On. Andreotti, ogni tanto le volpi troppo furbe finiscono nel carniere.  Meglio un chiaro e leale confronto a due al ballottaggio che tentare il colpo basso sul turno unico, peraltro con il rischio di un boomerang elettorale a favore dei pentastellati.

Qualcuno pensa davvero, come fa Ezio Mauro su Repubblica, che una riconciliazione tra Renzi e Bersani sancita dalla revisione dell'Italicum possa sul serio arginare l'onda lunga del rancore e della paura che dopo le coste atlantiche si abbatterà sul Referendum? Davvero l'elettorato di pancia anti-renziano, fuori e soprattutto dentro il PD, è disposto a tornare nell'alveo della ragionevolezza dopo la sigla della pace tra Cuperlo e Renzi, suggellata dal documento di rottamazione del ballottaggio in funzione anti-pentastellati? Ne sembrano fermamente convinti all'unisono i due ex direttori e il patron di Repubblica, come se alla gente che NON legge il loro giornale stesse a cuore la ristrutturazione dell'Italicum, mentre a quei pochi a cui interessa la sorte della legge  elettorale con il NO incasseranno un triplice combinato disposto: bocciare la Riforma costituzionale, mandare a gambe all'aria l'Italicum e cacciare l'odiato "bullo fiorentino". E una cordiale stretta di mano tra Renzi e Bersani scongiurerà questo esito esiziale? Suvvia questa idea è la prova provata della distanza abissale tra casta giornalistico-industriale "illuminata" e una realtà ribollente di rancori pronti a convergere sul primo parafulmine disponibile.

Se vince il NO, come ormai temono anche i pasdaran Renziani, è chiaro che si deve ricominciare da capo su tutto il fronte elettorale, in quanto servirà anche una nuova legge per il senato, per cui i giochi sono aperti ad ogni soluzione, a meno che si torni a votare con due sistemi di opposta concezione come l'Italicum alla Camera e Consultellum al Senato. Ipotesi a dir poco stravagante e comunque foriero di larghe intese almeno per un altro lustro, in attesa della prossima riforma elettoral-Costituzionale.

Se invece dovesse vincere il SI e si procedesse alla revisione, opportunistica ed auto-referenziale, dell'Italicum pro domo PD e anti-M5S il rischio sarebbe quello di fornire un assist propagandistico elettorale ai S5S di tali proporzioni da farli prevalere comunque al primo turno, altro che argine! Con il vento populista anti-casta e anti-élite che tira si sono persi mesi e mesi in diatribe dilanianti interne al PD sull'Italicum, invece di portare a termine l'iter di leggi di valore simbolico contro le degenerazioni della casta e della corruzione, quelle si utili per recuperare consensi.

mercoledì 2 novembre 2016

Quattro semplici proposte per cambiare l'Italicum

Per migliorare l’Italicum basterebbero alcune semplici modifiche, per risolvere in maniera definitiva il problema dell’esorbitante premio di maggioranza e della scarsa percentuale degli eletti con le preferenze. Ecco quindi 4 cambiamenti, facilmente attuabili per porre rimedio ai limiti dell'Italicum, più volte denunciati dai suoi detrattori:

1. innalzare la soglia del premio di maggioranza al primo turno al 42-45%, in modo da ridurre l’attuale premio (peraltro anche con il proporzionale secco il "vincitore" poteva godere di un "bonus" di seggi dell'ordine del 3-5%);
2. dimezzare il numero di collegi dagli attuali 100 a soli 50, raddoppiando quindi il numero dei seggi in palio, da 6 a 10-12; si dimezzerebbe automaticamente anche il numero di capolisti bloccati, che passerebbero dagli attuali 300 circa a 135-160, ovvero 1/4 circa dei 630 seggi complessivi della camera, venendo quindi incontro alla gran voglia di preferenze;
3. ridurre drasticamente il numero delle pluricandidature, la parte più critica dell'Italicum, portandole dalle 10 attuali a 2 o 3 e con la clausola della scelta del collegio in cui il candidato ha ottenuto il maggior numero di voti;
4. infine per venire incontro ai desiderata dei partiti minori si potrebbe proporre il premio di maggioranza alla coalizione, invece che al partito, o la possibilità di apparentamento al ballottaggio, come prevede l'elezione dei sindaci.

Poche ma sostanziali modifiche che dovrebbero accontentare i critici più accaniti, naturalmente salvaguardando nel contempo il valore aggiunto dell'Italicum, ovvero il doppio turno, garanzia del rispetto della volontà popolare e della scelta dei cittadini.

mercoledì 26 ottobre 2016

COMBINATI DISPOSTI E CIRCOLI VIRTUOSI/VIZIOSI

Ormai dovrebbe essere lampante anche per un ragazzino. Le poste in paio al Referendum sono due e intrecciate nell'ormai proverbiale formula del combinato disposto: da un lato l'OK alla riforma costituzionale e dall'altro il futuro del premier/segretario, accomunati dallo stesso destino in relazione all'esito del voto. D'altra parte era comprensibile la tentazione di rilegittimare il governo tramite il voto referendario, dopo due anni di martellante campagna propagandistica delle opposizioni contro il governo illegittimo, sostenuto da un parlamento frutto di una legge anticostituzionale, con un premier mai eletto dal popolo e mai legittimato dal consenso popolare.

Per onestà intellettuale si dovrebbe riconoscere che l'improvvida idea di personalizzare il referendum, a cui il premier non ha saputo resistere per spavalderia, ha fatto il gioco dei suoi oppositori più accaniti, dentro e fuori il PD, trasformando di fatto il voto del 4 dicembre in una sorta di plebiscito nei confronti suoi e del governo. La personalizzazione, decisa sull'onda del 40% delle europee, si è rivelata controproducente dopo i ballottaggi delle comunali di giugno, per il combinato disposto di:
  • lo spostamento degli elettori di centrodestra sui pentastellati, in alcuni comuni chiave, come prova generale per l'aggregazione informale del fronte del NO anti-renziano, a prescindere dai contenuti della riforma costituzionale;
  • l'indebolimento del segretario/premier, che ha rinfocolato le speranze della minoranza interna di sbarazzarsi definitivamente dell'usurpatore, affiancandosi di fatto al fronte del NO anti-renziano per la defenestrazione.
L'abbinamento tra bocciatura della riforma e del governo è la madre di tutti i successivi combinati disposti, che inquinano distorcono la campagna referendaria, come la strumentale critica bersaniana al combinato disposto tra Italicum e riforma costituzionale. 

Seppur tardivamente Renzi ha riconosciuto l'errore e ha fatto retromarcia, ma la frittata era fatta e i suoi oppositori si erano ormai tacitamente saldati nell'ampio fronte anti-renziano grazie al collante del NO alla riforma costituzionale; ora però l'endorsement del PSE, abbastanza scontato, ma soprattutto quello ad personam e plateale di Obama, durante la visita negli USA, non ha fatto altro che rincarare la dose della personalizzazione referendaria e rinfocolare lo spirito anti-renziano a prescindere del NO, anche per l'insistente campagna mediatica nel segno dell'esposizione personale e l'uso indiretto della finanziaria per lisciare il pelo agli elettori referendari (altro discutibile combinato disposto). Se poi il 4 dicembre le cose dovessero mettersi male - come non mi auguro per il bene dell'Italia e del PD - i combinati disposti verranno al pettine e decreteranno il capolinea per il premier/segretario per il significato anti-renziano e anti-governativo, dentro e fuori il PD, del voto referendario. Molto dipenderà dai numeri per il Si e per il NO, ma di fronte ad una sonora bocciatura il destino del governo sarà segnato, che piaccia o meno ad Obama.

Peraltro, a ben vedere, il primo combinato disposto è quello tra segretario PD e Presidente del consiglio. In tempi di vaccine elettorali sovrappeso il cortocircuito tra i due ruoli era all'insegna del feed-back positivo, ovvero dell'ampliamento del consenso per entrambi i lati del combinato disposto. Ma quando i bovini elettorali dimagriscono il rischio è che la spirale di amplificazione della deviazione si ribalti, ovvero che il circolo virtuoso si converta in circolo vizioso, per cui l'altolà referendario si potrebbe riverberare su governo e partito. In questi frangenti rischiosi si rivaluta il monito, lanciato a suo tempo da Barca e rimasto inascoltato nell'euforia dell'onda elettorale europea, a separare le due funzioni, proprio per evitare pericolosi cortocircuiti negativi, che la distinzione tra le due cariche avrebbero prevenuto.